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“Garantire agli italiani, a tutti gli italiani, un futuro di maggiore libertà, giustizia, benessere, sicurezza”. Così il 25 ottobre 2022 alla camera – e il giorno successivo al Senato – Giorgia Meloni si rivolgeva a deputati e senatori nel chiedere la fiducia al suo Governo, dopo aver giurato il 22 ottobre nelle mani del presidente della Repubblica.
Tre anni dopo quelle parole che fine hanno fatto? A suo dire non solo sono state mantenute tutte le promesse fatte ma la direzione presa dal nostro Paese è quella della crescita, dell’aumento dell’occupazione e della stabilità. Peccato che questa visione sia piuttosto onirica e la realtà, a guardare i dati, è decisamente diversa.
Inflazione
“Oltre al caro energia, le famiglie italiane si trovano a dover fronteggiare un livello di inflazione che ha raggiunto l’11,1% su base annua e ne sta erodendo inesorabilmente il potere d'acquisto”; "È indispensabile intervenire con misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie”.
Sono alcune delle frasi pronunciate da Meloni nel 2022 che mettevano in evidenza come l’inflazione fosse un tema caldo, da affrontare al più presto. Una fotografia chiara ma da lì nulla è cambiato. Andando ad analizzare il periodo 2021-2024 il tasso di inflazione nel nostro Paese ha superato il 18%.
Per non parlare del carrello della spesa che ha raggiunto livelli preoccupanti come certificato dall’Istat ad agosto: se l’inflazione è rimasta stabile al 1,7% i prezzi nel settore alimentare hanno subito una forte accelerazione dal 4,2 al 5,1 per cento per i non lavorati e dal 2,7 al 3,1 per cento per i lavorati. Prezzi che trascinano all’insù il tasso relativo al carrello della spesa, che cresce nel complesso del 3,4 per cento.
Austerità
Nel 2022 Giorgia Meloni diceva a gran voce che l’austerità non sarebbe stata nel suo vocabolario.
“La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra è la crescita economica, duratura e strutturale”.
Da quel giorno tre finanziarie hanno detto tutto il contrario e così sarà per gli anni a venire: tagli all’istruzione, al welfare e alla sanità a favore di un incremento per le spese militari.
Politica industriale
La politica industriale è stata uno dei punti centrali affrontati dalla premier nel discorso del 2022:
“L’Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo. Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all’alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale, anche per ambire a una piena sovranità alimentare non più rinviabile”.
Quello che a gran voce chiedono, da anni, lavoratrici e lavoratori insieme ai sindacati perché le crisi industriali sono sotto gli occhi di tutti. Dalla crisi dell’industria tessile, che in un anno ha perso quasi il 2% della capacità produttiva, passando per il settore legno, carta e stampa, che nello stesso periodo ha perso il 2,5 per cento della produzione, alla fabbricazione dei prodotti chimici (calato del 2,2) o dell’industria alimentare (-1,8) fino alla siderurgia e all’automotive, dove lo stato di crisi profonda è confermato da ogni report e statistica.
Pressione fiscale
Giorgia Meloni nei giorni in cui prendeva in mano le redini del Paese diceva:
“Imprese e lavoratori chiedono da tempo, come priorità non rinviabile, la riduzione del cuneo fiscale e contributivo. L'eccessivo carico fiscale sul lavoro è uno dei principali ostacoli alla creazione di nuova occupazione e alla competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. L'obiettivo che ci diamo è intervenire gradualmente per arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori, per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi”.
Il governo non solo non ha impedito, ma ha favorito che dalle tasche di lavoratrici lavoratori e pensionate vi fosse un travaso di risorse verso le casse dello Stato: 25 miliardi tra il 2022 e il 2024. Soldi non dovuti, ma raccolti a causa di un meccanismo vizioso tra aumenti contrattuali – comunque inferiori a quanto perso – e inflazione.
Diceva la premier al Parlamento “vogliamo un nuovo patto fiscale” basato sull’equità. Detto fatto: a produrre oltre l’80% del gettito dell’Irpef sono lavoratori dipendenti e pensionati e a parità di guadagno la tassa che pagano dipendenti e pensionati è più alta di quel che pagano altri contribuenti. Numeri alla mano: con un reddito di 35.000 euro lordi un lavoratore dipendente paga 6.898 euro di imposte, un pensionato 8.413 euro, un autonomo in flat tax 4.095 euro, una rendita finanziaria 4.375 euro.
Pensioni
Nel discorso a deputati e senatori un passaggio importante anche sulle pensioni:
“Tutele adeguate vanno riconosciute anche a chi dopo una vita di lavoro va in pensione o vorrebbe andarci. Intendiamo facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta del sistema previdenziale. La priorità per il futuro sarà un sistema pensionistico che garantisca anche le giovani generazioni e chi percepirà l'assegno solo in base al regime contributivo. Una bomba sociale che continuiamo a ignorare ma che investirà in futuro milioni di attuali lavoratori, che si ritroveranno con assegni addirittura molto più bassi di quelli già inadeguati che si percepiscono attualmente”.
La promessa del governo era chiara, nera su bianco nel discorso fatto alle camere per la fiducia. Una fiducia tradita considerando le ultime notizie sulla nuova manovra: il meccanismo dell’adeguamento alla speranza di vita porterà ad un progressivo innalzamento sia dell’età per la pensione di vecchiaia sia dei requisiti contributivi per la pensione anticipata. Per questo con la prima si andrà in pensione a 67 anni e 5 mesi, con la seconda con 43 anni e 3 mesi di contributi (42 anni e 3 mesi per le donne). Sicuramente nessun superamento della legge Fornero, anzi. Milioni di persone saranno costrette a restare a lavoro di più con assegni sempre più bassi.
Povertà
Contrastare la povertà e sostenere cittadini e cittadine in difficoltà è stato un altro punto importante del programma di governo.
“C'è un tema di povertà dilagante che non possiamo ignorare. Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare: penso ai pensionati in difficoltà, agli invalidi a cui va aumentato in ogni modo il grado di tutela, e anche a chi privo di reddito ha figli minori di cui farsi carico. A loro non sarà negato il doveroso aiuto dello Stato”.
Questo invece è l’Istat nel 2025: 5,7 milioni sono i poveri assoluti nel nostro paese, se si sommano gli 8,7 milioni in povertà relativa si arriva a quasi 15 milioni di cittadine e cittadine. Un numero che fa paura già da solo ma analizzato i dati ci sono aspetti che fanno riflettere. In particolare il dato sulle famiglie il cui componente di riferimento è operaio: il 15,6% delle famiglie il cui componente di riferimento è operaio si trova in condizione di povertà assoluta. Ecco qui che anche il “doveroso sostegno economico” tanto promesso dalla presidente del consiglio si scontra con la dura realtà: hai un lavoro per cui non hai diritto a nessun aiuto dello stato. E si resta poveri pur lavorando.
Sicurezza
Altro cavallo di battaglia del governo Meloni è stata fin da subito la sicurezza. Un mantra sentito in tutte le salse. Ecco cosa diceva nel discorso alle camere del 2022:
“Lavoreremo per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una Nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri. Dall'inizio di quest'anno sono stati 71 i suicidi in carcere. È indegno di una nazione civile, come indegne sono spesso le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria”.
E ancora:
“Gli italiani avvertono il peso insopportabile di città insicure, in cui non c'è tutela immediata, in cui si percepisce l'assenza dello Stato. Vogliamo prendere l'impegno di riavvicinare ai cittadini le istituzioni, ma anche di riportare in ogni città la presenza fisica dello Stato. Vogliamo fare della sicurezza un dato distintivo di questo esecutivo, al fianco delle nostre forze dell'ordine, che voglio ringraziare qui oggi per l'abnegazione con la quale svolgono il proprio lavoro in condizioni spesso impossibili, e con uno stato che a volte ha dato l'impressione di essere più solidale con chi minava la nostra sicurezza di quanto lo fosse con chi, invece, quella sicurezza rischiava la vita per garantirla”.
Su un punto bisogna darle ragione la sicurezza è stata fin da subito un’ossessione. Peccato che l’esecutivo abbia confuso il concetto di sicurezza con quello di repressione. A partire dal primo atto in materia il cosiddetto decreto Rave che, partendo da un fatto di cronaca, mise le basi per ridurre la possibilità di assembramento fino all’ormai noto decreto Sicurezza contrastato da opposizioni e società civile e bocciato anche dalla corte dei conti.
Una norma eterogenea che affronta materie diverse: dalla mafia al terrorismo passando per i beni confiscati alla criminalità organizzata, per arrivare alla sicurezza urbana e ai controlli di polizia, senza trascurare la tutela delle forze dell’ordine fino alle vittime di usura e alla coltivazione della canapa. Un grande calderone che però di fatto criminalizza il dissenso, riduce gli spazi e i modi di protesta, non aumenta la sicurezza dei cittadini e non sostiene nemmeno le forze dell’ordine, come invece prometteva Meloni.
Flussi migratori
Altra ossessione, collegata al tema della sicurezza, i migranti.
“In Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra solo attraverso i decreti flussi. In questi anni di terribile incapacità nel trovare le giuste soluzioni alle diverse crisi migratorie, troppi uomini e donne, e bambini, hanno trovato la morte in mare nel tentativo di arrivare in Italia. Troppe volte abbiamo detto ‘mai più’, per poi doverlo ripetere ancora e ancora. Questo governo vuole quindi perseguire una strada, poco percorsa fino ad oggi: fermare le partenze illegali, spezzando finalmente il traffico di esseri umani nel Mediterraneo”.
Parole di Giorgia Meloni, la stessa che ha rimandato a casa Al-masri, il militare libico accusato dal tribunale dell’Aja di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. La stessa persona che ha ritenuto di contrastare l’immigrazione illegale creando in Albania dei centri di detenzione, contro i principi di diritto e con dei costi esorbitanti.
Due dati sono certi: il Mediterraneo ha visto altri morti e l’immigrazione illegale non è stata contrastata a sufficienza. Per non parlare poi del decreto flussi: uomini e donne che sognano una vita migliore, arrivano e credono di avere permesso di soggiorno, casa e soldi da mandare alle famiglie. E invece una volta arrivati, le società che avevano promesso contratti non si presentano. E loro diventano “illegali”.
Bisogna poi ricordare, contro ogni propaganda, che il lavoro dei cittadini stranieri in Italia è sempre più fondamentale, nel 2024 vale 177 miliardi di euro, ovvero il 9% del Pil nazionale a fronte però di retribuzioni basse e scarse tutele.