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Il lavoro come strumento di emancipazione dal bisogno. Per molto tempo è stato così e il lavoro operaio era il sogno di molti e molte per compiere il salto di qualità e costruire futuro. Oggi non è più così nonostante i proclami di Meloni e dei suoi ministri: il 15,6% delle famiglie il cui componente di riferimento è operaio si trova in condizione di povertà assoluta. Lo afferma l’Istat nel Report sulla Povertà assoluta nel 2024.
Numeri impietosi
Forse secondo chi ci governa dovremmo esser soddisfatti perché il 2024 ci consegna sostanzialmente – ma vedremo poi le variazioni che purtroppo ci sono – dati invariati rispetto all’anno precedente. Si legge nel Report dell’Istituto nazionale di statistica che anche nell’anno scorso le famiglie in povertà assoluta erano 2,2 milioni e gli individui in quella condizione si attestavano a 5,7 milioni. Solo qualche 0, di spostamento in peggio, quindi nulla di nuovo. Ma in realtà non è proprio così, visto che parliamo di donne uomini, bambini e bambine che non hanno da mangiare o quasi. E un paese civile dovrebbe avere l’ambizione ogni anno di ridurrre la povertà.
Somma su somma
Se ai 5,7 milioni di poveri assoluti sommiamo poi quelli in povertà relativa c’è davvero di che preoccuparsi: si tratta di altri 8,7 milioni di individui, stiamo quindi parlando di quasi 15 milioni di cittadine e cittadine. Quanta parte di questo Paese è ai margini? Occorrerebbe chiedere a Meloni e, soprattutto, quali sono gli interventi e le politiche che intende attivare visto che quanto fatto fin qui non funziona.
Perché si è poveri
Lo dice l’Istat: il lavoro operaio o assimilati non proteggono più dalla povertà. Quasi il 16 per cento delle famiglie il cui componente principale è operaio si trova nella condizione di povertà assoluta e siccome un lavoro c’è quelle famiglie non hanno “diritto” a nessun sostegno economico. Non hanno diritto a contratti stabili e nemmeno al salario minimo. E non finisce qui, anche se si ha un lavoro dipendente non operaio l’incidenza della povertà assoluta è alta, coinvolge l’8,7% delle famiglie. Magari sarebbe bene che durante la scrittura della legge di bilancio, la tabella dell’Istat fosse punto di riferimento e sarebbe utile si tenesse in conto la richiesta della Cgil di restituire quanto drenato dal fisco ai lavoratori e lavoratrici dipendenti. E andrebbe anche realizzato un piano casa degno di questo nome, visto che il numero delle famiglie in affitto assolutamente povere supera il milione, sono 22,1% contro il 4,7% di quelle che vivono in abitazioni di proprietà.
La povertà è di classe
Forse bisognerebbe tornare ai classici dell’economia e della sociologia per comprendere cosa fare in un Paese con un’incidenza della povertà assoluta che diminuisce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento: per chi ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore, l’incidenza è pari al 4,2%, è tre volte più elevata (12,8%) se si ha al massimo la licenza di scuola media e aumenta ulteriormente, salendo al 14,4%, per le famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza di scuola elementare.
Altro che natalità
Se oltre 1 milione 283mila di bambine e bambini (il 13,8% dei minori residenti) sono in povertà assoluta, tutta la retorica sulle donne che “devono” fare figli si infrange sulla realtà. Con bonus mamme che vanno praticamente alle donne “più forti”: bonus nidi, bonus bebè chi ne ha più ne metta non servono. I numeri sono chiari: sono in povertà assoluta il 12,1% di minori del Centro, il 16,4% del Mezzogiorno, e si va al 14,9% per i bambini da 7 a 13 anni, l’incidenza più elevata dal 2014. Afferma l’Istat: “L’intensità della povertà per le famiglie con minori, pari al 21%, è più elevata di quella calcolata sul totale delle famiglie (18,4%), a ulteriore testimonianza di una condizione di disagio maggiormente marcato”.
Il paese dell’esclusione
Se si è migrante si ha molte più probabilità di essere povero. “L’incidenza di povertà assoluta, pari al 30,4% tra le famiglie con stranieri, sale al 35,2% per quelle composte esclusivamente da stranieri e scende al 6,2% per le famiglie di soli italiani”. Lo dice Istat è c’è da credergli, ma certo non è colpa di chi arriva da noi sperando in un futuro migliore. È colpa di un Paese che non solo non accoglie chiunque sia in difficoltà, italiano o straniero, ma che colpevolizzandoli li tiene ai margini.
Un altro Mezzogiorno
È quello da costruire. Nonostante i fondi del Pnrr che sono arrivati in Italia proprio per ridurre anche le diseguaglianze territoriali, oltre il 10 per cento delle famiglie residenti al Sud sono in povertà assoluta contro la media nazionale del 8,4. Si legge nel Report che “tra le famiglie assolutamente povere, il 39,8% risiede nel Mezzogiorno (38,7% nel 2023) e il 44,5% al Nord (45% nel 2023); il restante 15,7% risiede nel Centro (16,2% nel 2023). Cioè mentre al Nord diminuisce il dato, al Sud aumenta di un punto percentuale. Davvero preoccupante, poi, è che “la povertà assoluta è stabile anche a livello individuale, con l’unica eccezione delle Isole dove si registra un significativo aumento, arrivando al 13,4% dall’11,9% del 2023”.
Il commento della Cgil
Afferma Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil: “Dati che confermano che si è poveri pur lavorando, con un quarto dei lavoratori dipendenti che può contare su retribuzioni lorde annue inferiori a 10 mila euro l’anno, a causa di lavori precari e a tempo parziale. Il governo non finge di non vedere, peggio: decide di non contrastare la povertà. Decide che quelle famiglie e quelle persone vengono lasciate sole”.
“Oltre alla cancellazione del Reddito di cittadinanza – aggiunge la dirigente sindacale - e all’introduzione dell’Assegno di inclusione con conseguente dimezzamento della platea dei beneficiari e risparmio di oltre 3 miliardi di euro sui poveri, oltre al sostanziale azzeramento di risorse per contrastare il disagio abitativo a partire dalle famiglie in affitto, anche il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2024-2026 conferma le scelte del governo di un ulteriore e progressivo arretramento del ruolo pubblico”.
“La povertà – conclude Barbaresi - non si contrasta distribuendo derrate alimentari a qualcuno con la tessera annonaria, ma con politiche e strumenti forti e di carattere universale che garantiscano la presa in carico dei bisogni complessi delle famiglie in difficoltà, senza lasciare indietro nessuno. Serve un ripensamento delle politiche pubbliche di contrasto della povertà, a partire dalla Legge di Bilancio che il governo sta per varare”.