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Lo stillicidio dei dati Istat sembra non finire. È toccato a quelli sulla natalità e ancora una volta è necessario registrare un record negativo che, sommato a quello degli anni scorsi, mostra una netta mancanza di futuro. Nel 2024 in Italia sono nati 369.944 bambini e bambine, in calo del 2,6% sull’anno precedente. Non solo, sempre l’Istituto nazionale di statistica prevede che con l’andamento in corso per il 2025 “le nascite sono circa 13 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2024 (-6,3%)”.
C’è di che allarmarsi
La Cgil registra con grande preoccupazione quanto elaborato dall’Istat. Dice Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil: “Si registra un terzo di bimbi in meno rispetto a quelli che nascevano venti anni fa, e il crollo nello stesso periodo di oltre tre punti percentuali del tasso di natalità, certificano uno scenario preoccupante. A tre anni dall’enfatica istituzione del ministero della Natalità, anni caratterizzati da misure aventi prevalentemente il carattere di bonus (bonus mamme, bonus nidi, bonus nuove nascite), l’inefficacia delle misure varate dal governo è sotto gli occhi di tutti. Occorrono politiche strutturali, non slogan e bonus”.
Tutti indicatori negativi
Tutti gli indicatori sono bassi e concorrono gli uni con gli altri ad aggravare la curva della natalità. È bassa la propensione ad avere figli: 1,18 figli in media per donna nel 2024, peggio per le italiane, il cui tasso di fecondità si attesta a 1,1 figlio per donna. È in diminuzione il numero dei potenziali genitori, appartenenti alle sempre più esigue generazioni nate a partire dalla metà degli anni Settanta, quando la fecondità cominciò a ridursi. Quindi pochi figli per donna e poche donne che possono fare figli. Infine, si ritarda sempre più la nascita del primo figlio. Nel 2024 si attesta al compimento del 32,6 anni.
Una crisi che arriva da lontano
I numeri sono lì a dimostrarlo, la crisi è cominciata negli anni 90 dello scorso secolo, ha ragioni diverse e complesse che nulla hanno a che fare con un presunto “egoismo femminile” mentre molto lo ha con la mancanza di politiche pubbliche. A tal proposito, secondo la dirigente sindacale “per invertire le dinamiche demografiche, o almeno rallentarle, servono politiche a sostegno della natalità forti, frutto di una strategia di medio e lungo periodo, capaci di garantire certezze: la certezza di un lavoro ben retribuito, la certezza di una casa, di una rete di asili nido diffusi nel territorio, accessibili e gratuiti, di congedi paritari e ben remunerati. E ancora, un assegno unico da rafforzare e rendere davvero universale, superando esclusioni e discriminazioni, a partire da quelle che colpiscono coloro che risiedono in Italia da meno di due anni o hanno i figli all'estero. Peraltro – sottolinea – questo è ciò che ci chiede l'Europa, che per questa ragione ha attivato la procedura di infrazione contro l’Italia”.
Dove e chi
Nelle regioni del Centro Italia si registra il tasso di fecondità più basso, mentre le regioni che hanno registrato il calo più intenso sono l’Abruzzo (-10,2%) e la Sardegna (-10,1%).Tra le altre regioni che presentano una diminuzione del numero delle nascite, si rilevano l’Umbria (-9,6%), il Lazio (-9,4%) e la Calabria (-8,4%). Le diminuzioni meno intense si sono osservate in Basilicata (-0,9%), nelle Marche e in Lombardia (rispettivamente - 1,6% e -3,9%). Le sole regioni a registrare un aumento sono, secondo i dati provvisori, la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (+5,5%) e le Province autonome di Bolzano/Bozen (+1,9%) e di Trento (+0,6%). Infine, è da notare come, mentre le coppie con entrambi i genitori italiani fanno meno figli, il numero dei nati da genitori in cui almeno uno è straniero resta sostanzialmente stazionario rispetto all’anno precedente. Queste nascite costituiscono il 21,8% del totale dei nati.
Servono politiche pubbliche
Lo ha ricordato la segretaria della Cgil in audizione in Parlamento: “Occorre superare la logica dei bonus a pioggia”. In via prioritaria, “è necessario garantire un’adeguata rete di asili nido e servizi educativi per la prima infanzia, recuperando rapidamente i troppi ritardi nella realizzazione dei progetti del Pnrr. A pochi mesi della scadenza del Pnrr infatti – ricorda la segretaria confederale – è stato speso solo il 34% dei 3,6 miliardi di euro di finanziamenti per asili nodo e scuole dell’infanzia; solo il 7% delle opere risulta completato e collaudato, mentre un quinto dei progetti presenta ritardi nella fase di esecuzione delle opere e 147 progetti fermi alla fase della progettazione esecutiva”.
Il tradimento degli asili nido
Ricordate? Una delle prime “revisioni” al Pnrr voluta da Meloni è stata una drastica riduzione di asili nido, esattamente il contrario di ciò che occorre per cercare di invertire la curva della natalità. “È ancor più preoccupante – aggiunge Barbaresi – che i ritardi maggiori si evidenzino nelle Regioni più lontane dall’obiettivo del 33% dei posti nido da garantire entro il 2027 e del 45% entro il 2030. Il diritto a un percorso educativo sin dai primi mesi di vita – conclude la dirigente sindacale – deve essere garantito a tutti i bambini e le bambine, tuttavia, nei Piano Infanzia, Piano Famiglia e Piano Sociale, nidi e servizi educativi per la prima infanzia sono assolutamente marginali se non del tutto assenti”.