Avete presente LinkedIn? Il social network usato dai professionisti (e non solo) per mettere in rete il proprio cv, promuoversi e/o cercare un nuovo lavoro? Bene. Sappiate che, se avete un vostro profilo caricato su questa piattaforma, dal 3 novembre tutti i dati che vi riguardano verranno utilizzati per addestrare l’intelligenza artificiale. Per default, a meno che non vi opponiate.

“Dal 3 novembre 2025 inizieremo a utilizzare alcuni dati degli utenti di Europa, Svizzera, Canada e Hong Kong per addestrare i modelli di IA finalizzati alla creazione di contenuti per ottimizzare l'esperienza e aiutare i nostri utenti a scoprire nuove opportunità. Tali dati possono includere dettagli del profilo e contenuti pubblici, ma non includono i messaggi privati. Si può disattivare questa opzione in qualsiasi momento nelle impostazioni”.

È con questo messaggio che LinkedIn ha infatti comunicato la decisione di seguire le orme di Meta, trasformando i contenuti pubblici degli utenti per alimentare i propri modelli di Ia, e il fatto che Microsoft, proprietaria di LinkedIn, abbia investito ingenti capitali in OpenAi (il creatore di ChatGpt), non è certamente una coincidenza.

Così come non rappresenta più una novità il fatto che piattaforme e big tech tentino in maniera sempre più stringente (e a tratti prepotente) di sfruttare i dati e le informazioni dei propri utenti per alimentare i propri chatbot. Un tema, questo, che desta sempre attenzione sul fronte privacy. Fortunatamente, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati dell’Unione Europea, in vigore dal 2018 ci viene ancora una volta in soccorso, consentendoci di esercitare il diritto di opposizione e di revoca del consenso.

Rimane tuttavia il fatto che la possibilità di esercitare questo diritto arriva a valle di un processo automatico, lasciando “scoperta” una fascia di utenti che, per insufficienti competenze digitali o più semplicemente per distrazione, possono non aver colto la delicatezza del passaggio che si accingono a subire. Il consolidarsi dell’abitudine ad un certo “automatismo” rischia infatti di determinare la perdita di controllo sui dati e di consentire forme di profilazione più invasive rispetto alle aspettative originarie. Lavorare sulla crescita di consapevolezza su un tema così sensibile è dunque tanto urgente quanto necessario.

Nel frattempo, per difendersi da questa ennesima pratica fondata sul “silenzio assenso”, ecco cosa fare: collegarsi alla relativa pagina di configurazione del proprio account LinkedIn e spostare il cursore “Dati” per migliorare l’Ia generativa su “No” per non dare il consenso all’utilizzo dei propri dati personali. Un gesto apparentemente banale, che tuttavia consente di mantenere il controllo su quanto condividiamo in rete. Ameno un po’.