“La messa in stato di amministrazione giudiziaria della Giorgio Armani Operations accende i riflettori su una questione che il sindacato solleva da tempo: il lavoro povero come conseguenza del decentramento produttivo finalizzato alla massimizzazione degli utili e alla riduzione delle responsabilità, dando vita ad una giungla retributiva al ribasso”. Così è intervenuto Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil, sulle vicende di cronaca che riguardano il noto marchio della moda e del Made in Italy, tra le più importanti aziende manifatturiere del paese.

L’INDAGINE

L’inchiesta con cui il tribunale di Milano ha posto in amministrazione giudiziaria la Giorgio Armani Operations, azienda del gruppo Giorgio Armani spa, ha smascherato un sistema di sfruttamento che rischia di coinvolgere altri marchi nel settore degli accessori di pregio. Per consentire di massimizzare la velocità di realizzazione di ciascun pezzo, le macchine di alcuni opifici in subappalto avevano subito modifiche in grado di mettere a repentaglio la salute e sicurezza dei lavoratori: alle macchine incollatrici erano "stati rimossi gli inserti di plexiglass" necessari a impedire che il lavoratore rimanesse accidentalmente impigliato con le mani o con gli indumenti. La fustellatrice a bandiera era priva del "dispositivo di arresto di emergenza". Alla tingi-bordo era stato tolto "il bicchiere di sicurezza" mentre alla macchina per cucire era stato disinstallato il "carter" necessario a proteggere le dita.

LAVORATORI O SCHIAVI?

“In questo caso siamo andati oltre ogni limite – ha proseguito Falcinelli -. Laboratori-dormitori, addetti pagati a cottimo, finti part-time, lavoro in nero, il tutto aggravato da condizioni di salute e sicurezza a dir poco inesistenti. Condizioni prossime alla schiavitù inaccettabili. Dalla stampa apprendiamo che potrebbe non essere coinvolta solo la Giorgio Armani Operations ma anche altri brand. Se così fosse si paleserebbe una grave situazione di irregolarità nella seconda manifattura italiana, incredibilmente ancora soggetta a forme di caporalato che, come ci insegna la cronaca di questi ultimi anni, non riguarda solo il lavoro agricolo”.

Una filiera basata sullo sfruttamento

Gli accertamenti effettuati sui laboratori illegali che producevano in subappalto per la Giorgio Armani Operations Spa da parte dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, coordinati dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, hanno portato all'iscrizione del registro degli indagati dei titolari dei quattro opifici clandestini interessati, ricostruendo la filiera produttiva. La G.A. Operations aveva affidato la produzione dei capi a Manifatture Lombarde srl e MinoRonzoni srl, aziende del milanese e della bergamasca, prive delle autorizzazioni per esternalizzare il lavoro, come invece è avvenuto. Le due società, una delle quali guidata dall'ex calciatore e commentatore sportivo di Dazn, Alessandro Budel, e i loro amministratori non risultano indagati. Ma appare chiara la mancanza di un'organizzazione "idonea" a evadere le commesse e il conseguente ricorso a "sub fornitori" clandestini in cui era consolidato un sistema di sfruttamento, di mancanza di sicurezza e igiene e di condizioni degradanti in cui gli operai erano costretti a lavorare e vivere.

Le responsabilità dei committenti

“Da tempo – ha continuato Falcinelli - il sindacato chiede di fare accordi di filiera, che prevedano trasparenza e tracciabilità dei prodotti e delle condizioni di lavoro, perché le aziende concessionarie non siano più orientate alla sola massimizzazione

del profitto, che si scarica sulle condizioni delle maestranze, ma piuttosto a una competitività socialmente sostenibile. La responsabilità primaria è di chi affida la produzione ad aziende terze senza una verifica preventiva della regolarità delle condizioni lavorative e il necessario mantenimento anche della responsabilità delle committenti su tutto il ciclo produttivo.

"È necessario - sottolinea Falcinelli - pur nel rispetto della libertà di impresa, stabilire un valore coerente delle attività oggetto di commissione e imporre controlli sulle condizioni di lavoro, sulle applicazioni dei contratti nazionali di lavoro firmati dalle organizzazioni più rappresentative e sulle misure di salute e sicurezza. Leggere nuovamente di macchinari modificati per aumentare la produttività ci rafforza nella convinzione che, in un paese in cui nel 2023 si sono registrati più di 1000 morti sul lavoro, non serva più la sola indignazione ma controlli efficaci, individuazione di responsabilità, prevenzione. Tutte cose che ripetiamo da tempo, inascoltati. Seguiremo con estrema attenzione l’evolversi della vicenda investigativa ma sin d’ora chiediamo un tavolo di confronto specifico con le associazioni datoriali e una attività ispettiva mirata alla verifica di condizioni di illegalità così come di condizioni di applicazioni contrattuali incoerenti”, ha concluso il leader della Filctem Cgil.