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Israele prosegue i bombardamenti in Iran, spalleggiato dagli attacchi ai siti nucleari e militari effettuati dagli Stati Uniti, mentre l’Iran minaccia di rispondere con attacchi terroristici negli Usa attraverso cellule dormienti. Questa, in estrema sintesi, la cronaca delle ultime ore di un’escalation bellica nell’area mediorientale che fa temere il peggio.
Per capire meglio come si è arrivati a questa minaccia, che potrebbe diventare mondiale, e immaginarne i possibili esiti abbiamo chiesto di fare un po’ di luce ad Alessia De Luca, giornalista, responsabile Ispi Daily Focus ed esperta di politiche statunitensi.
De Luca sottolinea innanzitutto che “il presidente americano, Donald Trump con le sue decisioni sta aprendo un vulnus enorme nel diritto internazionale che già se la passava molto male. Quello degli Stati Uniti è infatti un attacco contro uno Stato sovrano. Teniamo anche conto che la comunità internazionale sta seguendo da 4 anni con apprensione la Russia che ha invaso l’Ucraina.
Non si capisce dunque perché in un futuro anche prossimo la Cina non possa decidere di prendersi Taiwan. Gli Stati Uniti stanno dando il colpo di grazia a un sistema di relazioni internazionali basato su regole condivise e lo fanno con l’intento proprio di distruggere il multilateralismo, convinti che sia un sistema che li ha svantaggiati. Per Trump vale molto più la pena trattare tra pari con leader di Paesi forti, quindi sostanzialmente autocrazie”.
Gli annosi precedenti
Per De Luca la questione del nucleare iraniano è di lunghissima data: “Nel 2015 al termine di negoziati complessi e molto delicati, Iran, Stati Uniti, Unione europea e altri Paesi firmano l’accordo sul nucleare, il Jcpoa patrocinato da Barack Obama. Gli ispettori dell’Aia avrebbero fatto delle visite scadenzate controllando che l’Iran non arricchisse l’uranio oltre il 3,5% (la percentuale necessaria allo sviluppo dell’energia nucleare pulita a scopi civili) per creare invece un programma nucleare offensivo, l’atomica”.
Nel 2016, continua, “arriva Donald Trump alla Casa Bianca e nel 2017 gli Stati Uniti escono da questo accordo perché patrocinato dal suo predecessore. Qui sta la prima colpa dell’Unione europea: accodarsi a questa decisione, anche per una questione di rapporti con gli Usa, anziché fare scelte autonome. In questo modo l’accordo rimane lettera morta. È da quel momento che gli iraniani cominciano ad arricchire uranio a livelli che poi li porteranno oggi al 60%”.
Giugno 2025: bombe sull’Iran
L’attacco israeliano contro l’Iran del 13 giugno avviene però in un momento in cui americani e iraniani stavano negoziando, benché sempre sul bordo dell'ambiguità: “Gli Stati Uniti non avevano mai detto esplicitamente che cosa avrebbero ritenuto accettabile da parte degli iraniani – spiega la responsabile dell’Ispi –. Gli Usa tenevano le loro carte molto coperte, mentre l’Iran continuava a dire che era intenzionato a raggiungere un accordo, ma mantenendo le possibilità comprese dagli accordi, come previsto anche dal trattato di non proliferazione del quale Teheran è firmataria”.
E ancora: “Dopo settimane di questa ambiguità, Trump fa sapere di non volere che l’Iran arricchisca l’uranio per scopi militari e nemmeno per quelli civili energetici e che deve rinunciare al programma nucleare. Questo perché aveva avuto notizie che Teheran poteva avere una bomba atomica. La rinuncia al nucleare pulito è una resa che non ha nessun fondamento giuridico a livello di diritto internazionale: chi può decidere chi può avere l’energia nucleare? Gli Stati Uniti?”.
De Luca ricorda che nei giorni precedenti l’attacco israeliano alcuni media americani avevano riportato la notizia che nel corso dell’ultima telefonata, come ammesso più volte da Trump, il leader Usa avesse detto a Netanyahu di aspettare ad attaccare perché aveva la sensazione che si potesse arrivare ad un accordo.
“Ventiquattr’ore prima dall’attacco degli israeliani, Trump dice più o meno: ‘Non sono più tanto sicuro di riuscire a raggiungere un accordo, ma gli iraniani devono sapere che se non accetteranno un accordo ci saranno lacrime e sangue’. Israele attacca e a quel punto nelle prime ore gli Usa non si sbilanciano più di tanto – prosegue l’esperta –. Dopodiché, vedendo che gli attacchi israeliani stanno ottenendo dei buoni risultati, si entra nel nell’ipotetico: nessuno sa che cosa sia scattato nella mente di di Donald Trump, ma è molto probabile che abbia pensato che, non riuscendo a raggiungere l’accordo che voleva, fosse meglio accodarsi agli attacchi del suo alleato di ferro per poter mettere il cappello su una vittoria a portata di mano”.
Rovesciare il regime iraniano?
C’è poi il tema del cambiamento di regime in Iran: Trump prima ha sostenuto che non fosse il suo obiettivo, poi ha affermato il contrario. “Questo però – spiega De Luca – comporterebbe un’operazione molto più sofisticata che implica il coinvolgimento di parte della popolazione iraniana, la quale non vede per quale motivo dovrebbe avallare un cambio di regime che però non ha un un canovaccio scritto che dice dove porterà”.
Se cade il regime degli ayatollah ci sono già i Pasdaran pronti a creare una forma di nazionalismo militare, osserva la giornalista, “come ce ne sono tanti nella regione. La storia del Medio Oriente ci insegna che quando potenze esterne hanno cercato di rovesciare regimi dittatoriali e sanguinari, quello che ne è seguito dopo sono stati anni di violenza e caos generalizzato”.
E l’Europa sta a guardare
Per De Luca è difficile capire cosa l’Europa pensi di avere in comune con Trump. “Se a Bruxelles ritengono di aderire alla linea americana, lo devono dichiarare chiaramente: ‘Ci siamo sbagliati, abbiamo detto un sacco di fandonie e ora le cose stanno in modo diverso’. Non possono però continuare a cercare di giustificare l’ingiustificabile, perché questa sarebbe la fine ingloriosa di un’Europa che balbetta, non ha una posizione rispetto a una situazione in i più esposti siamo noi europei, oltre alla popolazione mediorientale. Non riescono nemmeno a fare i conti con il fatto che, se la guerra in Medio Oriente dovesse deflagrare a livello regionale, avremo milioni di rifugiati alle nostre porte”.
Si è poi visto quale sia la considerazione che Trump ha dell’Europa: “La scorsa settimana – prosegue – ha lasciato il G7 senza un motivo e due giorni fa, quando i Paesi europei si sono incontrati con i mediatori iraniani, il presidente statunitense ha detto che l’Iran vuole parlare solamente con gli Stati Uniti e che dall’Europa non può arrivare alcun tipo di contributo. Anche sul fronte ucraino abbiamo visto la stessa cosa, perché Bruxelles non ha alcun piano lungimirante per il futuro di questo Paese”.
Ora il rischio è che, paradossalmente, “ad affossare definitivamente l’Europa intervenga proprio il Medio Oriente e non tanto perché Putin possa conquistare anche la Polonia e i Baltici, ma per mancanza di una leadership e di una visione. Sono quasi due anni – attacca – che accettiamo oscenamente il massacro dei palestinesi che ha messo l’Europa in una posizione di bancarotta morale”.
Il mese di giugno sarà un mese cruciale per il futuro dell’Europa, per i vertici che sono in programmazione e “ai quali arriviamo in ordine sparso. Sul fronte mediorientale stiamo accettando l’idea della guerra preventiva di Netanyahu. Al cancelliere tedesco Merz è scappata la frase infelice secondo la quale ‘Israele sta facendo il lavoro sporco per noi’”.
Ora comunque bisognerà capire come risponderà l’Iran: “Se gli iraniani dovessero attaccare basi o interessi americani nella regione, o chiudere davvero lo stretto di Hormuz, dove passa il 30% del petrolio e il 20% del gas mondiale, ci troveremmo di fronte a un crescendo che sarebbe veramente molto difficile da da disinnescare”.
Se invece non ci saranno grandi escalation, “allora Trump dirà di avere avuto ragione e continuerà ad agire senza un mandato del Congresso, senza mai portare prove a sostegno delle sue decisioni e sarebbe davvero la fine del diritto internazionale con tutto ciò che questo comporterebbe”, conclude De Luca.