Silenzio, di aborto non si parla. Tabù? no, volontà di non permettere l’esercizio di un diritto attraverso, anche, la mancanza di informazioni chiare, aggiornate e accessibili sull’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Un nodo cruciale e strutturale affrontato nel report di Medici del mondo –  rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute – presentato in occasione della giornata internazionale per l’aborto sicuro.

Intitolato “Aborto senza numeri - L’assenza di dati come politica di deterrenza e causa di disuguaglianza”, il documento mette in evidenze le storture di un sistema che non funziona. 

“Nonostante l’aborto sia un diritto garantito dalla legge 194/1978 e incluso nei livelli essenziali di assistenza – si legge – chi desidera farvi ricorso si trova infatti di fronte a un vuoto informativo che compromette la possibilità di compiere scelte consapevoli e tempestive sulla propria salute. E il problema non è solo delle utenti: i dati sono infatti anche uno strumento politico per capire dove c’è un problema”.

IL VUOTO INFORMATIVO

“Sapere è potere: potere di intervenire dove necessario e potere di agire in modo consapevole. Entrambi fortemente limitati quando si parla di accesso all’Ivg”, mettono in evidenza nel report.

Merito del lavoro di ricerca è sottolineare un problema invisibile ma strutturale: l’assenza di dati di qualità, di informazioni affidabili, aggiornate e accessibili, sull’aborto nel nostro Paese. “Per legge – proseguono – il ministero della Salute è obbligato a presentare ogni anno al Parlamento, entro il mese di febbraio, una relazione sull’attuazione della legge 194 e sull’accesso all’Ivg. Tuttavia, in oltre 40 anni questa scadenza non è mai stata rispettata, e le relazioni vengono pubblicate con mesi di ritardo, con dati già superati, incompleti e non aperti. La relazione del 2024, ad esempio, è stata resa pubblica a dicembre, con quasi un anno di ritardo e riferita a dati del 2022”.

Il motivo non è l’impossibilità di avere i dati ma “un processo di raccolta dati disomogeneo e, spesso, politicamente condizionato”. Come spiegano nel rapporto le Regioni raccolgono le informazioni dai presidi sanitari, li trasmettono all’Istat e all’Istituto superiore di sanità, che li verificano, li lavorano e li inviano quindi al ministero per la redazione della relazione annuale. “Ma non sono informazioni complete: i dati sull’obiezione di coscienza sono raccolti separatamente dal ministero della Salute e non vengono disaggregati né per struttura né per provincia”, sottolineano.

E anche sul monitoraggio dei Lea la situazione non è delle migliori: “Gli indicatori per l’Ivg, oltre ad essere deboli e poco efficaci per monitorare la qualità dei servizi abortivi, non rientrano tra i 22 Core utilizzati per la valutazione dell’erogazione, ossia non sono considerati dal ministero della Salute per monitorare l'adempimento delle regioni”.

In conclusione “la qualità del dato risulta pertanto compromessa, in termini di puntualità ed esaustività, dato che l’aggregazione a livello regionale rende impossibile monitorare la reale distribuzione territoriale dei servizi, con le loro modalità e tempistiche, valutare l’impatto dell’obiezione o l’applicazione delle linee guida ministeriali, e soprattutto informare correttamente l’utenza”.

Un vuoto dunque che viene parzialmente colmato dalle mappature indipendenti dei servizi Ivg in Italia realizzate negli ultimi anni a partire dal basso che segnalano strutture attive, percentuali di obiezione, tempi di attesa e qualità percepita del servizio, con l’obiettivo comune di supplire a una mancanza istituzionale che ostacola l’accesso a un diritto fondamentale.

Come ricordano i Medici del mondo, l’Organizzazione mondiale della sanità ha sottolineato che “l’accesso a informazioni accurate, aggiornate e scientificamente validate è il primo passo per garantire l’accesso a servizi abortivi sicuri. Eppure, in Italia, questa condizione è tutt’altro che soddisfatta. E il fatto che il ministero non reputi necessario effettuare interventi correttivi rispetto a Regioni che non seguono le linee di indirizzo ministeriali, che non adempiono agli obblighi previsti dai Lea e che, pur avendo a disposizione i dati, non ritengono utile renderli fruibili, denotano come l’inadeguata disponibilità di informazioni sia un problema politico, più che tecnico”.

I FOCUS SU SARDEGNA, MOLISE E VENETO

Come i precedenti report di Medici del mondo anche questa edizione contiene un focus su tre regioni – Sardegna, Molise e Veneto – che evidenziano come l’accesso ai servizi abortivi cambia radicalmente a seconda del territorio. 

Il Veneto è l’unica a fornire sul suo portale i dati – compreso quello sull’obiezione –aggiornati all’anno precedente. I dati condivisi raccontano di un tasso di obiezione al 66,6%, che oscilla dall’86% di Venezia al 35,48% della Pedemontana, e di Ivg farmacologiche in aumento (dal 53% del totale nel 2023 al 64% nel 2024), ma non tutti gli ospedali offrono il servizio. Il Veneto, inoltre, non ha adottato le linee di indirizzo per l’aborto con la RU486 nei consultori e nemmeno esiste nessun dibattito in merito. Del resto, la rete consultoriale è tra le più limitate d’Italia (una sede ogni 50.000 residenti, rispetto allo standard di 1 ogni 20.000, con intere province totalmente sguarnite), solo l’1,9% della popolazione di riferimento vi accede e c’è una carenza cronica di personale. Un circolo vizioso che porta di fatto alla chiusura dei consultori perché, non essendo un servizio capillare ed efficace, vengono poco utilizzati. Invece di potenziarli quindi si sceglie la strada più semplice.

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La Sardegna è invece un esempio di inadeguatezza informativa, ma anche di come l’informazione sia imprescindibile per poter migliorare la situazione. Tra dati vecchi e parziali, emerge che dei 22 ospedali regionali 8 non sono punti Ivg, l’82,5% delle Ivg avviene entro 14 giorni dalla richiesta e in alcune aree (come l’ex provincia del Sud Sardegna o nell’Oristanese) oltre la metà di chi vuole abortire deve spostarsi in altre zone della Regione. A spiccare è però il dato sulle metodiche utilizzate: qui si registra la percentuale più alta di aborti tramite raschiamento (il 20,9% contro la media nazionale del 7,2%). Un dato che ha portato ad un’azione mirata dell’Iss che si è confrontata con i professionisti dei punti Ivg sardi per individuare e risolvere le cause di un ricorso così intensivo a una pratica tanto invasiva. Parallelamente cresce il ricorso all’Ivg farmacologica (nel 2024 al 67,6% secondo i dati forniti dalla Regione a Medici del Mondo), anche se in modo eterogeneo. E a luglio scorso la Giunta Regionale ha dato mandato per l’istituzione di un tavolo tecnico per predisporre le linee di indirizzo regionali per effettuare l’Ivg farmacologica anche nelle strutture ambulatoriali e nei consultori familiari pubblici. Ma senza trasparenza informativa e investimenti nei consultori, l’accesso a questo servizio rischia di rimanere un privilegio per poche.

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In Molise due dati spiccano su tutti: il primo è l’altissimo tasso di obiezione di coscienza, al 90,9% tra ginecologi e ginecologhe (contro la media nazionale del 60,5%). L’accesso all’Ivg è garantito all'ospedale di Campobasso e, solo di recente, anche in quello di Termoli, ma con la stessa equipe medica che si sposta tra le due strutture per rispondere a un’utenza che arriva anche da Basso Molise, Abruzzo e Puglia. Il secondo dato riguarda gli aborti con metodo farmacologico, oltre l’80%: il numero medio di Ivg effettuate settimanalmente per ogni ginecologo è di 6,2 contro la media nazionale di 0,9 (dati 2022). Il motivo di questo dato così alto è la stessa mancanza di personale non obiettore: gestire un'interruzione farmacologica è molto più semplice rispetto che organizzare un’interruzione chirurgica. Ma proprio quella carenza di personale è alla base di una quasi inesistente rete consultoriale (1 sede ogni oltre 66.000 abitanti), che ha spinto l’ospedale di Campobasso a istituire un numero di telefono che le donne che vogliono abortire possono chiamare per avere informazioni e prendere appuntamento.

LA MANCANZA DI INFORMAZIONI è VOLONTÀ POLITICA

“Senza accesso a informazioni chiare il diritto alla salute e il diritto alla scelta restano solo sulla carta. Il nostro report mostra chiaramente che in Italia mancano dati aggiornati, completi e disaggregati sull’Ivg, e che le informazioni che dovrebbero orientare le persone e guidare le politiche pubbliche sono vecchie, frammentarie, difficili da reperire – commenta Elisa Visconti, direttrice di Medici del mondo Italia –. Nonostante l’Ivg rientri nei Lea, la relazione annuale del ministero della Salute sembra ormai una formalità, priva di reale capacità di monitoraggio o impulso al miglioramento. E va detto con chiarezza: la filiera di raccolta dei dati sull’aborto non è affatto più complessa rispetto a quella di altri dati sanitari che le Regioni e le strutture raccolgono quotidianamente. Non esistono ostacoli tecnici specifici. E quando anche le richieste ufficiali di accesso ai dati vengono ignorate o rifiutate, è evidente che siamo davanti ad una precisa volontà politica di non fornire le informazioni in modo tempestivo, disaggregato, aperto e fruibile”.

Le conseguenze di questa volontà politica “sono gravi e concrete: si creano disuguaglianze nell’accesso a un diritto fondamentale, quello di decidere sul proprio corpo, di tutelare la propria salute fisica e mentale, di ricevere cure appropriate in ambienti sicuri e accoglienti, senza subire discriminazioni. L’Oms è chiara: garantire informazioni accurate è il primo passo per garantire aborti sicuri. In Italia, purtroppo, siamo ancora molto lontani da questo obiettivo”, conclude.