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Ha dichiarato fallimento la Cipriani Serramenti di Grassina (Firenze), azienda storica (fondata nel 1920 come falegnameria) del settore legno-industria di Firenze Sud. “Non è una fatalità né un effetto inevitabile del mercato”, afferma Marta Tamara Terzi (Fillea Cgil Firenze): “È il risultato di scelte imprenditoriali sbagliate - nel 2019 c’erano oltre 40 addetti, rimasti oggi una quindicina -, accelerate e prive di visione, che hanno progressivamente smontato un patrimonio produttivo costruito in decenni di lavoro, competenze e qualità”.
La Cipriani Serramenti per anni è stata parte integrante del sistema produttivo fiorentino, riconosciuta per la capacità di creare valore e occupazione, ma “negli ultimi tempi è stata gestita con una logica miope: nessun investimento sulle persone, nessuna formazione, nessun piano industriale, nessun rinnovamento tecnologico, senza saper affrontare le trasformazioni del settore, lasciando i lavoratori senza strumenti e l’azienda senza futuro.”
Terzi rileva che “questa crisi non è un caso isolato. S’inserisce in una tendenza più ampia che riguarda tutto il comparto del legno e del legno-arredo nel territorio fiorentino e toscano, dove le imprese investono sempre meno in competenze e professionalità, si perde progressivamente la manodopera qualificata, aumentano i casi di delocalizzazione o esternalizzazione selvaggia, il valore artigianale e industriale del ‘saper fare’ fiorentino viene eroso giorno dopo giorno”.
La chiusura della Cipriani Serramenti rappresenta “l’ennesima occasione mancata e contribuisce a depauperare un tessuto produttivo che ha fatto la storia del nostro territorio: laboratori, industrie del legno, falegnamerie di alta qualità”.
La Fillea Cgil Firenze così conclude: “Ogni azienda che chiude è un pezzo di Firenze che scompare, un patrimonio che non tornerà più. Denunciamo con forza questa deriva. Non accettiamo la narrazione dell’inevitabilità: la responsabilità è di chi avrebbe dovuto investire e non l’ha fatto, di chi ha abbandonato i lavoratori e il futuro dell’impresa, di chi ha considerato il capitale umano un costo da tagliare invece che un valore da costruire”.






















