L’Europa come l’abbiamo vissuta e concepita negli ultimi decenni non c’è più. La guerra è tornata nella nostra quotidianità, abbiamo riscoperto un fenomeno che pensavamo lontanissimo, dimenticato, sepolto, con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni.

Un continente economicamente, culturalmente e geopoliticamente unito, con l’introduzione dell’euro e l’allargamento verso Est, dal futuro luminoso, ha perso gradualmente smalto: prima con la crisi dell’euro, poi con la decisione senza precedenti del Regno Unito di abbandonare l’Unione, e ancora con i diversi approcci alla guerra d’Ucraina, nonché le profonde divergenze nella percezione delle priorità politiche e degli interessi nazionali.

La disgregazione dell’Europa

“La guerra d’Ucraina ha avuto un duplice effetto sull’Europa”, spiega Lorenzo Noto, consigliere redazionale di Limes, analista e studioso di geopolitica: “Prima compattandone fittiziamente il blocco comunitario, in sostegno al Paese aggredito, il cui diritto all’autodeterminazione veniva negato a trent’anni dalla sua proclamazione. Poi disgregandola man mano che il conflitto aumentava di profondità temporale, distinguendone i differenti approcci, costringendo i singoli membri a fronteggiare la scelta su fin dove insistere nel sostegno materiale all’Ucraina”.

Piano di riarmo europeo

Quello che ha preso piede è un clima bellicista e schizofrenico, segnato dal piano di riarmo presentato dalla Commissione europea il 6 marzo 2025: 800 miliardi di euro per stimolare l’incremento delle spese per la difesa dei singoli Stati, il coordinamento tra gli eserciti e la collaborazione industriale nella produzione e nell’acquisto di armamenti.

“Al di là del giudizio di valore, il piano presenta delle evidenti contraddizioni”, aggiunge Noto: “L’Europa è intrappolata in una tripla dipendenza che il riarmo rischia paradossalmente di aggravare anziché attenuare”.

Perché ripudiare la guerra 

E l’Italia? “L’Italia dovrebbe ripudiare la guerra non solo per questioni etiche”, risponde lo studioso di Limes: “Le guerre che si stanno consumando ai nostri confini mettono a rischio la salute del Paese. Il benessere e l’esistenza stessa dell’economia italiana dipendono strettamente dalla connessione con il resto del mondo, attraverso le rotte commerciali e marittime, la cui sicurezza è messa in pericolo dai conflitti. La nostra è un’economia di trasformazione e manifattura, basata sull’importazione di materie prime che non abbiamo e sull’esportazione di ciò che produciamo e dei beni che assembliamo”.

L’economia di guerra fa male

L’economia di guerra fa quindi male all’Italia, soprattutto quando alimenta una dimensione bellicista continua, che a propria volta sostiene la possibilità che queste guerre proliferino verso zone e spazi da cui dipendiamo.

“Dovremmo invece potenziare quegli strumenti di cui l’Italia, che oggi conta davvero poco nei processi di pace, è stata in alcune fasi della sua storia come esponente di punta: la mediazione e la diplomazia”, aggiunge Lorenzo Noto. Che così conclude: “Ci sono molti esempi della storia recente di sforzi diplomatici, non per forza legati a canali ufficiali e istituzionali ma anche a soggetti come organizzazioni non governative, alla cooperazione allo sviluppo. Sarebbe dunque più utile riscoprire arti come quella della diplomazia, che non prodigarci in un’economia di guerra che in guerra rischierebbe di farci finire”.