Oggi, 17 novembre, è quel giorno dell’anno in cui una donna smette di guadagnare. Non è uno scherzo è la data che simbolicamente segna l’Equal Pay Day, che ci ricorda che in media, le lavoratrici, continuano a guadagnare meno dei colleghi uomini.

Secondo gli ultimi dati della Commissione europea il salario orario lordo medio degli uomini nei 27 Stati membri è del 12% superiore a quello delle donne. Tradotto significa che, a parità di condizioni, le lavoratrici europee lavorano circa un mese e mezzo all’anno gratis rispetto ai colleghi.

Per questo motivo, il 17 novembre rappresenta il giorno in cui le donne smettono di essere retribuite, mentre gli uomini continuano a percepire uno stipendio fino alla fine dell’anno. Una data che cambia di anno in anno, a seconda dell’andamento del gender pay gap, ma che resta necessaria per ricordare una disuguaglianza ancora esistente.

Dodici Paesi UE con una propria Giornata per la parità retributiva

Oltre alla ricorrenza europea, dodici Paesi dell’Ue – Austria, Belgio, Cipro, Cechia, Germania, Estonia, Francia, Paesi Bassi, Slovacchia, Portogallo, Spagna e Svezia – hanno istituito la loro Equal Pay Day nazionale, calcolata in base al divario retributivo specifico di ciascun Paese. L’obiettivo comune è rendere visibile l’impatto economico e sociale del divario salariale di genere e spingere verso una reale parità nel mondo del lavoro.

I dati

Il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum diffuso a giugno 2025 ricordava come il divario complessivo di genere non è stato ancora colmato e che, con le azioni messe in campo ad oggi, ci vorranno 123 anni per raggiungere la piena parità.

Gli ultimi dati Eurostat 2025, come dicevamo, mostrano come le donne continuino a guadagnare il 12% in meno l’ora rispetto ai colleghi uomini.

Focalizzando l’attenzione sull’Italia, secondo il Rendiconto di genere 2024 dell’Inps le donne percepiscono il 20% in meno degli uomini, un divario che sale al 39,9% nel settore immobiliare e al 35,1% in quello scientifico.

“Un valore che non solo condiziona l’indipendenza delle donne sul lavoro ma che si riflette anche sugli assegni pensionistici condizionando l’autonomia e il benessere di migliaia di donne lungo tutto l’arco della vita – commenta Lara Ghiglione, segretaria nazionale Cgil – Una gravissima ingiustizia sociale che quantifica in termini monetari la cultura sessista della nostra società e del mondo del lavoro e contro la quale la Cgil è fortemente impegnata”.

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Parità salariale: una sfida ancora aperta

La parità retributiva resta dunque una sfida ancora aperta in tutta Europa. Le cause del divario sono molteplici: segregazione settoriale e professionale, minore accesso delle donne a posizioni dirigenziali, interruzioni di carriera legate alla cura familiare e una mancanza di trasparenza salariale in molte aziende.

Per cercare di arginare questo fenomeno che ha profonde radici culturali, l’Unione europea nella precedente legislatura, ha approvato una Direttiva sulla trasparenza salariale che prevede alcuni meccanismi di rendicontazione e pubblicità delle retribuzioni per lavoro di pari valore, suddivisi per sesso, e che consentirà di potere richiedere uguale retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. “Una Direttiva importantissima che ora anche in Italia è nella fase di recepimento ma che viene fortemente osteggiata dalle associazioni di rappresentanza delle imprese a livello europeo che ne lamentano i costi – spiega Esmeralda Rizzi, componente del Comitato donne della Confederazione europea dei sindacati per la Cgil – La Direttiva invece getta le basi per cancellare una grave ingiustizia che di fatto limita l’indipendenza delle donne”.

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Una giornata che vuole essere un monito per ricordare che uguaglianza salariale significa giustizia economica, ma anche sociale e di genere.