1 ) Giuseppe Di Vittorio nasceva a Cerignola - 130 anni fa - l’11 agosto del 1892. In realtà il certificato di nascita riporta la data del 13 agosto essendo stato Peppino dichiarato all’anagrafe - una volta cosa comune - due giorni più tardi.

2 ) La penna di Gianni Rodari incrocia più volte la vita di Giuseppe Di Vittorio. Il maestro lo conosce, lo stima, ne scrive almeno in due occasioni: nel 1954 quando racconta ai bambini sul «Pioniere» (n. 18, 2 maggio) l’infanzia del segretario generale della Cgil e nel 1977 quando su Paese Sera scrive in occasione del 20° anniversario della sua scomparsa.

3 ) Nel 1921 Di Vittorio viene eletto deputato mentre è detenuto in carcere. Nelle liste dei partiti di sinistra vengono candidati dirigenti politici e sindacali detenuti per aver guidato o preso parte alle lotte. Sono “candidature di protesta” che consentono ai nuovi eletti di passare dal carcere a Montecitorio. È il caso di Di Vittorio detenuto a Lucera per aver guidato la lotta dei braccianti contro agrari e fascisti. La sua elezione in Parlamento - scrive Michele Pistillo - rappresenta “un fatto politico di prima grandezza in Puglia. Per la prima volta nella loro storia, i braccianti agricoli inviavano alla Camera dei Deputati uno di loro, non ancora trentenne, ma noto e popolare come pochi tra le masse lavoratrici. Queste avevano perfettamente compreso il grande significato della sua elezione e l’avevano appoggiata massicciamente”.

4 ) Pochi giorni dopo la promulgazione della prima delle norme che escludono gli ebrei dalle scuole, esule a Parigi, Di Vittorio denuncia quanto sta accadendo in Italia e le colpe del regime fasciste. Il sindacalista è uno dei primi a denunciare la politica razzista del fascismo e la persecuzione contro gli ebrei in due articoli pubblicati nel settembre 1938 su La voce degli italiani.

5 ) L’estate del 1945 è caratterizzata dalla visita in Urss di una delegazione della Cgil (ancora - e fino al 1948 - unitaria) su invito di alcuni sindacalisti sovietici che precedentemente erano stati in Italia. Su incarico di Togliatti - e con un preciso accordo col Governo italiano - la delegazione si occupa anche della questione dei prigionieri italiani. Nei giorni precedenti alla partenza per l’Unione sovietica, decine e decine di parenti dei dispersi - saputo del viaggio - scrivono alla Cgil e nello specifico a Di Vittorio, capo delegazione, per avere notizie. “Liberaci da questa tormentosa angoscia” - gli scrivono. “Segretario Di Vittorio, si occupi della sorte del mio caro”. E Di Vittorio mantiene la parola data - come sempre - tornando in Italia con le firme di ciascun milite ritrovato, aggiungendo l’appunto “fatto” vergato a mano accanto a ogni nominativo del quale era stata informata la famiglia.

6 ) È a Giuseppe Di Vittorio che Luciano Lama deve il suo percorso in Cgil (“Non l’ho mai saputo il perché - dirà Lama anni dopo in una intervista - l’ho chiesto a Togliatti, a Luigi Longo… l’ho chiesto a Di Vittorio. E ognuno di questi mi ha risposto così: 'Ma che ti interessa di saperlo… l’importante è che lo sei diventato!'”. Luciano è al fianco di Di Vittorio ai funerali delle vittime dell’eccidio di Modena del 1950 e compare sempre più spesso al suo fianco nei viaggi ufficiali tanto che, si racconta, a volte veniva scambiato per il figlio). E non solo lui… Sarà sempre Giuseppe Di Vittorio a scegliere, nel 1947, un giovanissimo Emanuele Macaluso (“Nei giorni del Congresso - ricorderà Macaluso - Di Vittorio, “si informò in modo particolareggiato sulla vita di quella organizzazione (ndr. la Camera del lavoro di Caltanissetta), e dopo pochi giorni propose la mia elezione a segretario regionale della Cgil, nonostante avessi solo 23 anni”).

La morte di Di Vittorio - scriveva Bruno Trentin alla sorella Franca pochi giorni dopo la sua morte - ha rappresentato naturalmente il maggiore elemento di sconvolgimento. Ero a Napoli, di ritorno da Palermo, quando si è diffusa la notizia. E puoi immaginare quanto mi abbia colpito.Tuttora non ho ancora completamente eliminato la sensazione d’angoscia e di dolore che mi ha provocato. Dio sa quanto conoscessi i suoi limiti e le sue debolezze e quante volte mi sia ribellato a certe ristrette manifestazioni della sua mentalità di contadino meridionale. Ma sento sempre di più quello che quest’uomo ha rappresentato per me, nella mia formazione di uomo politico e – retorica a parte – semplicemente di uomo. Sento la sua forza e la sua giovinezza, il suo ottimismo intellettuale, sempre “provocatorio”, come una delle cose più ricche che mi abbiano trasformato in questi ultimi anni.

7 ) La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, 34 anni, socialista, partigiano e segretario generale della Camera del lavoro di Corleone, è sequestrato da un gruppo di persone guidato da Luciano Liggio. Lo circondano in strada a Corleone, lo caricano sulla 1100 di Liggio, lo portano in una fattoria di Contrada Malvello, lo picchiano a sangue e gli fracassano il cranio. Poi fanno sparire il corpo. Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa a indagare sul delitto Rizzotto: il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove. Per uno strano scherzo del destino, attorno all’omicidio di Placido Rizzotto ci sarà una convergenza di giovani uomini che diventeranno noti: da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre, giovane studente universitario che sostituirà Rizzotto alla guida dei contadini, dall’altra, Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia. Il rapimento di Placido Rizzotto scuote le coscienze e immediata è la presa di posizione della Cgil. Di fronte all’inerzia del governo nel condurre le indagini, Giuseppe Di Vittorio decide di dare un premio di mezzo milione di lire a chiunque darà notizie utili a ritrovare Rizzotto e a scoprire i colpevoli del delitto: una cifra importante se si pensa che nel 1950 lo stipendio medio di un operaio è di 25/30.000 lire circa.

8 ) Nell’agosto 1952 Giuseppe Di Vittorio compie 60 anni. Un avvenimento importante per il quale vengono organizzate due celebrazioni, prima a Cerignola poi a La Spezia (in occasione del sessantesimo compleanno del segretario generale, si decide di intitolare proprio al leader di Cerignola la Scuola di formazione sindacale della Cgil).

Abbiamo fatto molta strada assieme, caro Di Vittorio - gli scrive nell’occasione Palmiro Togliatti - Assieme abbiamo lavorato, resistito, combattuto. Siamo stati alla scuola delle persecuzioni e dell’esilio, ma anche alla grande scuola del movimento operaio comunista internazionale (…) Così abbiamo potuto conoscerci a vicenda ed io ho conosciuto in te, prima di tutto, il figlio devoto di quel popolo italiano, di cui provasti le sofferenze e di cui possiedi le grandi capacità di intelligenza e tenacia (…) Saluto in te il militante proletario, artefice ostinato e capo della grande organizzazione unitaria degli operai e di tutti i lavoratori italiani. Saluto il dirigente comunista, temprato a tutte le prove. Saluto l’uomo semplice, che ha saputo non perdere mai il contatto diretto, di sentimento e di passione, di sdegno per le condizioni non umane di oggi e di speranza nell’avvenire, anche con il più povero e abbandonato dei lavoratori.

Nell’anno del suo 60° compleanno Di Vittorio arriva in Campidoglio sulle ali di circa 70.000 voti di preferenza (come eletto con il maggior numero di preferenze è lui, il Consigliere anziano, a presiedere la seduta inaugurale del Consiglio comunale nel 1952). Nella seduta del 21 luglio 1953, insieme ai consiglieri della ‘Lista cittadina’ membri del Parlamento, rimette al sindaco il corrispettivo delle medaglie di presenza alle sedute del Consiglio comunale precedentemente accettate con riserva (già nel 1920 aveva restituito al mittente il dono del conte Pavoncelli: “apprezzo la cortesia - diceva - ma sono un uomo politico attivo, un militante”).

9 ) Il 27 ottobre del 1956, di fronte alla decisione dei sovietici d'intervenire militarmente in Ungheria, la Segreteria della Cgil assume una posizione di radicale condanna dell’invasione. La condanna non è soltanto dell’intervento militare: il giudizio è netto e investe tanto i metodi antidemocratici utilizzati dai governi dei Paesi dell’Est Europa, quanto l’insufficienza grave delle stesse organizzazioni del movimento sindacale. Nella stessa giornata del 27, Di Vittorio rilascia a un’agenzia di stampa una dichiarazione del tutto personale nella quale non solo vengono ribadite le cose dette nel comunicato della Segreteria, ma vi si aggiungono parole di piena e convinta solidarietà con i ribelli di Budapest. “Commosso condivido tua posizione indispensabile per salvare nostro Partito et causa socialismo”, gli scriverà Italo Calvino.

10 ) Giuseppe Di Vittorio muore il 3 novembre 1957 a Lecco, dove si era recato con la moglie Anita per inaugurare la nuova sede della locale Camera del lavoro. Il viaggio della salma è indimenticabile. A ogni stazione ferroviaria il treno deve sostare più a lungo per la folla che, a pugno chiuso, si riversa nelle piazze a salutare Peppino. “Tutto pare come sospeso - osservava il giorno dei funerali Pier Paolo Pasolini -rimandato: anche io mi ritrovo solo con gli occhi, e come senza cuore, in pura attesa. Ma intanto attraverso gli occhi, il cuore si riempie. Non ho mai visto gente così, a Roma. Mi sembra di essere in un’altra città”. Sette anni prima di Palmiro Togliatti, 27 anni prima di Enrico Berlinguer, la morte di Giuseppe Di Vittorio è il primo vero lutto collettivo della sinistra italiana.