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Bisogna riconoscere agli economisti, o meglio ai più illuminati e keynesiani di loro, una qualità, ed è l’ostinazione. È dall’inizio di questo secolo che vanno lanciando, ciclicamente, l’allarme sul divario tra super-ricchi e tutti gli altri. Una disuguaglianza che sabota il funzionamento e il destino stesso delle democrazie. Ma se nessuno li ascolta rischiano la fine di Cassandra. Ora, come ultimo capitolo di una saga in aggiornamento, è arrivato un appello di peso, firmato da sette premi Nobel per l’economia, che ha scosso il dibattito pubblico francese e ha rilanciato la questione della tassazione sulla “ricchezza estrema”.
L’appello su Le Monde
In un editoriale pubblicato lunedì 8 luglio su Le Monde, Daron Acemoglu, George Akerlof, Abhijit Banerjee, Esther Duflo, Simon Johnson, Paul Krugman e Joseph Stiglitz invitano la Francia ad assumere un ruolo di guida sul piano globale, approvando la cosiddetta imposta Zucman, una tassa patrimoniale minima del 2% sui patrimoni superiori ai 100 milioni di euro. Il tema ricorrente della redistribuzione della ricchezza affiora adesso nelle affaticate economia e società francesi, dove manovre di bilancio e coesione sociale sono sempre più a rischio, e dove l’imposta Zucman – dal nome dell’economista Gabriel Zucman, docente a Berkeley e alla Paris School of Economics, nonché direttore dell’Osservatorio fiscale dell’UE – riguarderebbe circa 1.800 famiglie francesi, e potrebbe generare entrate significative per finanziare welfare, sanità e transizione ecologica.
La Francia può indicare la strada
“Con la tassa sugli ultraricchi, la Francia può indicare la strada al resto del mondo”, scrivono gli economisti, sottolineando come oggi miliardari del calibro di Elon Musk o Bernard Arnault paghino sul reddito aliquote irrisorie, appena lo 0,1% in Francia e lo 0,6% negli Stati Uniti. Questo avviene grazie a sofisticate strategie di ottimizzazione fiscale che permettono di eludere la tassazione sui redditi personali, spesso tramite holding familiari che schermano i dividendi dalle imposte.
“Non sono mai stati così ricchi, ma contribuiscono poco, rispetto alle loro capacità, ai costi comuni”, accusano i firmatari, che parlano di una crisi morale e politica della giustizia fiscale, resa ancora più inaccettabile in un momento storico in cui la povertà aumenta e le finanze pubbliche arrancano. Solo in Francia, l’Insee (l’Istat francese) ha certificato per il 2023 un tasso di povertà salito al 15,4%, il più alto da trent’anni, con quasi 10 milioni di cittadini sotto la soglia di povertà.
La ricchezza estrema si può mitigare
Secondo i Nobel, “questa situazione non è il risultato di una legge naturale o di un destino antico: è il prodotto di decisioni umane e scelte politiche. Non c'è quindi alcuna inevitabilità”. Imporre una tassazione più equa ai patrimoni elevati non è una proposta ideologica, ma una necessità democratica e sociale, tanto più urgente alla luce della crescente disuguaglianza e dell’erosione della fiducia nelle istituzioni.
“Ricchezza estrema” come i “fenomeni climatici estremi”, economisti come i climatologi (e altrettanto inascoltati?): siamo entrati in una nuova “age of extremes”, per citare un importante saggio storico di Eric Hobsbawm sul Novecento. Le ideologie hanno fatto un passo indietro, ma resta il buon vecchio capitalismo a radicalizzare la situazione. La ricetta che prescrivono gli economisti è: redistribuzione, senso della misura, moderazione della disuguaglianza. Dal canto suo, Zucman è da anni in prima linea nella battaglia per una maggiore equità fiscale, soprattutto contro l’elusione internazionale. Il suo Global Tax Evasion Report ha stimato che solo in Italia, tra il 2016 e il 2022, sono stati trasferiti offshore oltre 150 miliardi di euro, denaro sottratto al fisco e al bene comune.
Non a caso, lo scorso anno 134 economisti italiani hanno firmato un manifesto a sostegno di una patrimoniale progressiva sullo 0,1% più ricco e di un aumento dell’imposizione sulle grandi successioni e donazioni. Insomma, l’esigenza transnazionale di intervenire sulla fiscalità delle grandi fortune è oggi condivisa da una parte crescente della comunità scientifica, consapevole che l’attuale sistema fiscale sta aggravando anziché ridurre le disuguaglianze.
I precedenti
Si diceva all’inizio che ci provano da anni. Una delle proposte più eclatanti fu, nel 2011, la cosiddetta Robin Hood Tax lanciata da oltre mille economisti, tra i quali ancora Stiglitz e Krugman: in una lettera ai ministri delle Finanze del G20 suggerirono una tassa sulle transazioni finanziarie per supportare lo sviluppo globale. Nel 2019 fu invece la senatrice statunitense Elizabeth Warren a proporre una wealth tax del 2% per patrimoni superiori a 50 milioni di dollari e dell’1% aggiuntivo oltre il miliardo. Fu proprio Zucman a calcolare che si sarebbero raccolti circa 2,7 trilioni di dollari in 10 anni.
Nel 2020 ancora Joseph Stiglitz, insieme a Thomas Piketty, chiese una tassa patrimoniale negli Stati Uniti, sostenendo che una wealth tax moderata sarebbe stata efficace per ridurre le disuguaglianze ed incrementare le entrate fiscali. Tre anni dopo, nel 2023, con la European Citizens’ Initiative Zucman, Stiglitz e oltre 100 europarlamentari proposero una tassazione annuale permanente sui patrimoni più alti nell'Ue. Quello stesso anno, in una lettera al G20, oltre 300 firme – tra cui Abigail Disney, Bernie Sanders, Piketty – sollecitarono un accordo globale a favore di una tassazione patrimoniale per contrastare l’accumulo estremo di ricchezza.
Anche Spagna e Brasile hanno presentato all’Onu un’iniziativa congiunta per una tassa globale sui super-ricchi. Durante la Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo a Siviglia, i due Paesi hanno lanciato un messaggio chiaro: “Se non si interviene, l’estrema disuguaglianza continuerà ad aumentare, minando crescita, sostenibilità e fiducia nella democrazia”.
Non è una rivoluzione
“Una tassa patrimoniale minima non è una rivoluzione, è il minimo sindacale”, insiste l’appello dei Nobel. E la Francia, in crisi di coesione e con bilanci sempre più sotto pressione, ha oggi l’occasione storica di aprire la strada. Non serve attendere riforme globali per iniziare: ogni Paese può scegliere la strada della giustizia fiscale e contribuire a invertire la rotta.