Il 7 settembre 1938, all’indomani dell’emanazione della prima delle "leggi razziali" fasciste, a Parigi l’esule Giuseppe Di Vittorio prende in mano la penna e scrive1:

 Mentre la situazione internazionale si aggrava di ora in ora, sotto le minacce intollerabili degli aggressori fascisti, il delirio razzista è giunto al parossismo in Italia. Tutti i mezzi, potentissimi di pressione morale e materiale di cui si è munito il regime, sono stati messi in azione per creare un’atmosfera di pogrom. Nella disonorante campagna di odio contro gli ebrei - contro gli stessi ebrei italiani, che sono nati in Italia, che hanno compiuto il loro servizio militare in Italia, che sono degli onesti cittadini - non vi è ritegno, non vi sono limiti, né pudore. La vigliaccheria garantita dalla protezione senza riserve dello Stato, si ammanta della pelle del leone e si accanisce con estrema ferocia contro i deboli, contro coloro che sono stati spogliati d’ogni diritto e messi al bando come lebbrosi!... Gli ebrei sono divenuti gli ‘untori’ di manzoniana memoria. Nessuno degli omonzoli del regime ha il coraggio civico di dire almeno una parola di moderazione; nessuno di costoro mostra di possedere ad un grado qualsiasi il senso di misura, né sentimenti d’umanità. Al contrario, i gerarchi arricchiti sul sangue e sulle lacrime del popolo, fanno a gara, a chi più può mostrarsi ‘intransigente’, feroce e spietato verso i deboli, gli isolati, i paria, messi nell’impossibilità di reagire e difendersi. Tutti partecipano ‘coraggiosamente’ a questa gara della più abbietta viltà. E quei gerarchi che hanno vissuto alla greppia di ebrei capitalisti, e si sono magari arricchiti, sono oggi fra i più infuriati cacciatori di ebrei; cioè, fra i più vili.

  Di Vittorio prosegue: 

Coloro che arzigogolavano su pretese differenze fra i due massimi dittatori fascisti d’Europa - sforzandosi di scorgere in Mussolini il famosissimo ‘latin, sangue gentile’ - per cui il boia del nostro popolo sarebbe stato più misurato, più equilibrato, più sensibile, più umano, ecc. ecc., del suo collega germanico - sono ormai ben serviti. Mussolini, l’uomo di tutti i rinnegamenti e di tutti i tradimenti; Mussolini, che ancora nel 1934 ripudiava con veemenza il razzismo e rivendicava come un grande onore per il fascismo italiano l’essere immune da questa lue barbarica e di trattare i cittadini italiani ebrei alla stessa stregua di tutti gli altri cittadini, portandoli anche alle più alte cariche in tutte le branche dell’attività nazionale, secondo i loro meriti; Mussolini, diciamo, è sceso così in basso, sotto l’influenza, la pressione e gli ordini di Hitler, da superarlo, nella brutalità e nella ferocia. Mussolini si è distinto, sì, ma nel bruciare le tappe. In questa lotta selvaggia e codarda contro le poche migliaia di ebrei italiani - già perfettamente assimilati e fusi col nostro popolo - Mussolini ha fatto in poche settimane ciò che Hitler ha fatto in quattro anni. Tutti gli ebrei stranieri residenti in Italia - perché, poveretti, avevano creduto all’antirazzismo di Mussolini di ieri - sono espulsi in massa. Tutti gli ebrei residenti in Italia da meno di vent’anni sono espulsi dall’Italia, anche se avevano acquistato la cittadinanza italiana. Tutti gli ebrei italiani sono stati esclusi dall’insegnamento e dagli impieghi pubblici. Gli alunni ebrei italiani, nati in Italia da cittadini italiani, sono esclusi da tutte le scuole pubbliche e pareggiate.

 “L’esclusione degli ebrei anche dagli impieghi privati, dall’esercizio delle professioni liberali, dal commercio, ecc. ecc. - continua Di Vittorio -  è già in corso su tutta la linea, senza bisogno d’alcun decreto. Del resto, è stata già annunciata l’esclusione degli ebrei dal partito fascista; forse anche da altre organizzazioni del regime. E tutti sanno che in Italia chi non ha la tessera fascista non può lavorare. I cittadini italiani ebrei sono praticamente cacciati da tutti gli impieghi, avulsi da ogni attività produttiva, esclusi da ogni posto di lavoro. Come deve vivere questa massa di circa 80.000 ebrei italiani? Agli stessi capitalisti ebrei - o anche a quei cittadini ebrei che possiedono qualche economia - è impedito di espatriare coi loro beni. Ma più crudele e veramente drammatica è la situazione degli ebrei poveri, che sono la grande massa. Ripetiamo: come deve vivere questa massa di cittadini italiani, spogliati d’ogni diritto e privati d’ogni possibilità di guadagnarsi la vita col proprio lavoro? Ancora: cosa avviene delle decine di migliaia dl fanciulli e di studenti italiani ebrei, odiosamente esclusi dalle scuole pubbliche e pareggiate? A questi drammatici interrogativi, il regime non si preoccupa affatto di rispondere. E non se preoccupa nemmeno il re, il quale ha dimenticato che lui e la sua famiglia riscuotono decine di milioni all’anno dal popolo italiano affamato, per il titolo di ‘guardiano della Costituzione italiana’. Ora, secondo la detta Costituzione, i cittadini italiani - compresi quelli ebraici - ‘sono uguali davanti alla legge’, per cui nessun governo ha il diritto di farne una categoria di cittadini inferiori, privati d’ogni diritto e d’ogni possibilità di vivere. Il popolo italiano, però, non rimane indifferente di fronte all’ondata di più vergognosa barbarie scatenata dal regime”.

 “Che nessuno s’inganni! - conclude il futuro segretario generale della Cgil - La lotta contro gli ebrei non è che un aspetto della lotta dei grandi trust e della loro dittatura fascista contro l’intero popolo italiano. Col parossismo razzista scatenato contro gli ebrei, il governo fascista mira a far passare gli ebrei come responsabili della miseria spaventosa in cui il regime ha gettato il nostro popolo, specialmente per le sue guerre d’aggressione contro l’Abissinia e la Spagna; il governo fascista mira a creare una ideologia e una mentalità imperialista nelle masse popolari, per farne uno strumento docile della sua politica di guerra, della guerra generale nella quale i grandi criminali dell’asse fascista stanno forse lanciando l’Europa, nel momento stesso in cui scriviamo. Ma noi non possiamo limitarci a deplorare le malefatte e le barbarie del regime. La democrazia italiana ha il dovere di unirsi e d’agire. Dobbiamo agire per esigere che le misure decise dalla Conferenza Internazionale di Evian per proteggere gli ebrei austriaci e tedeschi, siano automaticamente applicate anche agli ebrei italiani. Dobbiamo esigere che la Società delle Nazioni intervenga per proteggere la vita e gli averi degli ebrei italiani. Dobbiamo unirci d’urgenza ed agire contro la guerra che le dittature fasciste stanno scatenando … Unione! Unione! Unione!”. (Giuseppe Di Vittorio, In aiuto degli ebrei italiani!, in «La voce degli italiani», 7 settembre 1938).

 Ribadendo il concetto, cinque giorni più tardi Di Vittorio torna a scrivere:

La gravità della situazione internazionale non deve farci dimenticare le terribili persecuzioni cui sono sottoposti gli ebrei italiani, né il dovere imperioso che noi abbiamo di difenderli. (…) il problema ebraico, sollevato artificialmente dalla dittatura fascista, non interessa gli ebrei soltanto; interessa tutto il popolo italiano. Il delirio razzista al quale si sono abbandonati senza ritegno e senza dignità i profittatori del regime, è un atto di guerra che fa parte della preparazione del regime alla guerra mondiale, in quanto mira a creare una mentalità imperialista nelle masse, onde portarle più facilmente al macello nelle guerre d’aggressione che si preparano. Con la barbarie razzista, il regime vuol ingannare le masse ridotte alla fame, suscitando in esse la convinzione di appartenere a un popolo superiore. L’improvviso e codardo furore razzista del regime è una grossolana diversione, volta ad incanalare contro gli ebrei l’esasperato malcontento delle masse affamate dai grandi trust, dai ricchi agrari e sopratutto dalle guerre d’aggressione in permanenza. Anche lo Zar, nella vecchia Russia, per placare il malcontento dei mugik affamati dai signori feudali, organizzava i pogrom contro gli ebrei!... Il razzismo fascista è tutto questo, ma non è solo questo. La politica razzista fa parte della politica generale del regime di dividere e suddividere incessantemente il popolo italiano, per continuare a soggiogarlo, ad opprimerlo, a saccheggiarlo. Dopo i precedenti della Germania hitleriana - dove, pur non essendo la religione cattolica quella dominante, i cattolici conducono una lotta risoluta contro la barbarie razzista - nessuno poteva pensare che i cattolici italiani avrebbero assistito impassibili alle feroci persecuzioni contro gli ebrei, rinnegando lo stesso fondamento dei loro principi cristiani. Mussolini sapeva, dunque, che scatenando codardamente l’ondata razzista contro gli ebrei italiani, si sarebbe urtato all’opposizione dei cattolici, oltre che a quella di tutte le altre correnti della democrazia italiana. E l’ondata razzista, anticristiana e antiumana, è stata scatenata ugualmente, anche per avere il pretesto di sferrare una nuova offensiva contro le organizzazioni affiliate all’Azione Cattolica, che costituiscono i soli ed ultimi residui di organizzazioni relativamente libere esistenti in Italia, e nelle quali tanti lavoratori trovano ancora il modo di riunirsi e di scambiare le loro opinioni, in un ambiente che non è quello ossessionante del fascismo. Attraverso la caccia inumana e vile agli ebrei, la dittatura fascista mira a distruggere questi ultimi resti di organizzazioni cattoliche, non bastandole d’aver tolto loro ogni possibilità d’azione politica, sindacale e culturale. E attraverso l’Azione Cattolica e le sue organizzazioni, il regime vuol annientare le ultime e tenuissime larve di libertà che rimangono all’intero popolo. E’ dunque contro tutto il popolo italiano che è diretta la lotta selvaggia condotta dal governo fascista contro gli ebrei. Coloro i quali si disinteressassero della caccia agli ebrei, magari col pretesto che fra i perseguitati si trova qualche capitalista fascista, concorrente di altri più grandi capitalisti; coloro i quali si ritenessero estranei alla lotta contro i cattolici, magari col pretesto che qualche cardinale fascista ha chiamato Mussolini "l’inviato della Provvidenza", tutti costoro, farebbero il giuoco del fascismo; come lo fanno i trotzkisti, come lo fanno quei certi Bonanni, i quali - a questi chiari di luna, e dopo le grandiose esperienze della Spagna e della Francia - trovano che i socialisti non avrebbero altro da fare che... rompere l’unita d’azione coi comunisti!  Difendendo gli ebrei italiani; difendendo i cattolici italiani e ciò che resta delle loro organizzazioni, noi difendiamo gli interessi ed i  diritti più elementari alla vita, al lavoro, alla libertà, di tutto il popolo. Unendoci tutti, cattolici e non cattolici, ebrei e non ebrei, in  questa lotta per i più sacri diritti atrocemente calpestati del nostro popolo, noi neutralizzeremo l’azione fascista di divisione e lavoreremo per opporre vittoriosamente il popolo unito alla dittatura fascista che lo insanguina e lo affama; noi difenderemo vittoriosamente la pace contro le guerre d’aggressione che conduce la dittatura fascista e contro la sua complicità con l’hitlerismo nella politica che  proprio in questi giorni minaccia di scatenare una nuova guerra  mondiale. Difendendo gli ebrei boicottati, insultati, umiliati, sferzati a sangue dalla furia razzista del regime, noi difenderemo il patrimonio di civiltà del popolo italiano; impediremo che questo patrimonio venga completamente sommerso dalla barbarie fascista, che si vede costretta a cercare dei precedenti giustificativi nei secoli più oscuri  del Medio Evo! ….
(Giuseppe Di Vittorio, Difesa degli ebrei italiani e delle organizzazioni cattoliche, in «La voce degli italiani», 13 settembre 1938).


1 Nel 1923, dopo la chiusura della Camera del lavoro di Bari, Di Vittorio decide di trasferire la famiglia a Roma. Il 13 settembre 1925 lo arrestano. Scarcerato il 10 maggio 1926 non resta molto in libertà: subisce altri arresti che inducono il Partito comunista, cui ha aderito nel 1924, a farlo espatriare.

“All’estero Di Vittorio svolge un’attività intensissima. Dal 1928 al 1930 è in Unione Sovietica quale rappresentante della Confederazione del lavoro nell’internazionale sindacale. Poi è a Parigi, ove si dedica al lavoro di direzione della Confederazione del lavoro e all’attività di propaganda fra i lavoratori italiani in Francia. Nel 1936 è tra i primi a raggiungere la Spagna come combattente a difesa della repubblica. Rientrato a Parigi assume la direzione de «La voce degli italiani», quotidiano degli antifascisti in Francia. Nel 1939 anche in Francia inizia la caccia agli esponenti comunisti. Il giornale «La voce degli italiani» viene soppresso e Di Vittorio deve darsi alla clandestinità; il 10 febbraio 1941 viene scoperto e arrestato e, dopo un penoso peregrinare di carcere in carcere in territorio tedesco e poi in Italia, nel settembre successivo è avviato al confino a Ventotene, da dove viene liberato unitamente a tutti gli altri confinati politici nell’agosto 1943” (M. Magno, «la Capitanata», gen. - giu. 1967).

Dalle colonne del quotidiano, Di Vittorio si impegna strenuamente nella battaglia per l’approvazione in Francia dello Statuto giuridico degli immigrati e per il riconoscimento del diritto d’asilo ai rifugiati. E’ inoltre uno dei primi a denunciare la politica razzista del fascismo e la persecuzione contro gli ebrei in due articoli pubblicati nel settembre 1938.

«La voce degli italiani» sospende le pubblicazioni nell’estate del 1939. Vengono arrestati e internati diversi collaboratori del quotidiano, tra cui la giovane Anita Contini e Baldina Di Vittorio, entrambe rinchiuse nel campo di concentramento femminile di Rieucros al confine con i Pirenei.