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In quest’anno terribile in cui continuamente siamo coinvolti e sconvolti per il numero dei decessi, dei contagi, degli ammalati senza cure per le carenze del sistema sanitario dovremmo essere diventati più attenti al rispetto delle norme sicurezza, ai cosiddetti dispositivi. Abbiamo imparato che per evitare di contagiarci e di contagiare dobbiamo mettere le mascherine, lavare le mani, tenere le distanze di sicurezza, evitare assembramenti e abbiamo imparato la cultura della prevenzione, tamponi, vaccini. Questo potrebbe portare a dire che abbiamo tutti acquisito quella cultura della sicurezza e della salute importante per la nostra vita ma anche per quella degli altri.
E allora in quest’anno di gran parlare di salute e sicurezza perché si muore ancora di lavoro? Nel 2021 i decessi sul lavoro sono oltre 2 al giorno. Lo scorso anno 2000 lavoratori e lavoratrici hanno perso la vita sul lavoro, 185 nei primi tre mesi di quest’anno! Più del 2020. E non è un problema di dimensioni di impresa, siano esse piccole o grandi, o di settori produttivi o aree del Paese.
Si muore nell’edilizia, nell’industria, nel tessile, e ieri addirittura i casi mortali nel settore agroalimentare sono stati tre, a Parma e a Gubbio. E non è nemmeno un problema di età, anzi sempre più si tratta di giovanissimi. Si tratta di donne e uomini strappati alla vita. È una strage silenziosa che nella tragedia generale di pandemia non deve passare sotto tono!
E se nella pandemia grande è stata la fatica del sindacato di fare passare la scelta che la salute viene prima del profitto, questo ancora non diventa centrale nel lavoro. Eppure le leggi ci sono! Ma quello che manca è prevenzione, formazione, sorveglianza e capacità di fare sinergia. Quello che manca è la capacità del sistema della sicurezza di fare rete e di imprimere la sicurezza come tema prioritario, che viene “prima di tutto il resto”.
I rappresentati dei lavoratori per la sicurezza non sono sempre presenti in tutti i luoghi di lavoro e laddove ci sono, spesso sono addirittura vessati e inascoltati dalle imprese, ma ci sono i medici competenti, l’ispettorato, le Asl, e principalmente ci sono i datori di lavoro che hanno la più grande responsabilità. E purtroppo quello che manca è il rispetto della vita umana nei luoghi di lavoro. La salute, la sicurezza e ancora di più il benessere di chi lavora devono essere una priorità. Il lavoro deve essere lo strumento per la libertà, per la propria affermazione e non uno strumento di morte o sofferenza.
Tina Balì è segretaria nazionale della Flai Cgil