L’India è scossa dalle proteste contro una riforma del lavoro a dir poco controversa. Lo scorso 26 novembre centinaia di migliaia di lavoratori sono scesi in piazza in tutto il Paese, ed è solo l’inizio di uno scontro destinato a proseguire. La riforma accorpa 29 leggi federali sul lavoro in soli quattro codici su salari, relazioni industriali, previdenza e salute e sicurezza. È stata approvata dal Parlamento ben 5 anni fa, nel 2020, e dopo molti scontri e rinvii ha avuto il via libera esecutivo il 21 novembre. Dovrebbe entrare in vigore a livello federale e nei singoli Stati ad aprile 2026.

La vittoria della deregulation

Per il governo guidato da Narendra Modi si tratta di una trasformazione epocale che renderà più competitiva l’economia dell’India nell’era dei dazi trumpiani (si parla di modello cinese, attrazione di capitali stranieri, flessibilità…) e che darà anche più tutele ai lavoratori. I sindacati la pensano in modo diametralmente opposto, e hanno definito questa riforma come “la più radicale e aggressiva eliminazione dei diritti e delle conquiste ottenute dai lavoratori sin dall’indipendenza dell’India”.

Si tratta di una gigantesca deregolamentazione: questa in sintesi l’accusa che viene dal mondo del lavoro. Le dieci principali centrali sindacali (con la sola eccezione del filogovernativo Bharatiya Mazdoor Sangh) si sono mobilitate assieme al Samyukt Kisan Morcha, Lega dei contadini, e condannano i nuovi codici in quanto “strutturalmente imperfetti, giuridicamente infondati e concepiti per indebolire le tutele dei lavoratori”, si legge in una nota congiunta.

Le preoccupazioni maggiori riguardano l'orario, il ricorso a lavoro precario e la sicurezza e salute. Una “riforma” che dà più potere alle imprese e toglie garanzie e tutele ai lavoratori. Per farsi un’idea del clima basta leggere questo passaggio elaborato sempre dai sindacati, dove si definiscono i codici come “attacchi genocidi alle vite e ai mezzi di sussistenza dei lavoratori”, un tentativo di “imporre una schiavitù virtuale strappando ogni diritto e beneficio dei lavoratori. I codici, se attuati, estingueranno le speranze, la fede e le aspirazioni di intere generazioni a venire”.

“Se il governo non si ferma, affronterà una resistenza nazionale”

Durante la mobilitazione del 26 novembre, racconta a Collettiva Satyajeet Reddy, vicepresidente della centrale sindacale Intuc, “abbiamo chiesto ai lavoratori di indossare badge neri, organizzare assemblee ai cancelli, incontri agli angoli delle strade e riunioni nei quartieri popolari per denunciare la natura antioperaia di questi codici, definiti ‘una frode ingannevole’ che impone una sorta di schiavitù virtuale deregolamentando l’occupazione, indebolendo le ispezioni e limitando i diritti. Le nostre rivendicazioni si concentrano sull’abrogazione totale dei quattro codici".

Prosegue il sindacalista indiano: “Dal 26 novembre il movimento sta crescendo. Il governo sta portando avanti con decisione la riforma, utilizzando massicciamente i social media per presentare i codici come un miglioramento per i lavoratori e sostenendo di avere un ampio appoggio sindacale, nonostante le dieci centrali si oppongano. In realtà, a supportare i codici sono principalmente il Bharatiya Mazdoor Sangh e alcuni piccoli sindacati alleati, in linea con gli interessi delle imprese e con il partito di governo Bjp. Queste riforme rappresentano un forte arretramento delle tutele dei lavoratori sotto la maschera della modernizzazione. Ma la reazione sindacale è senza precedenti e il governo dovrà iniziare a dialogare direttamente con i lavoratori, oppure affronterà una resistenza nazionale destinata a continuare”.

Cosa prevedono i nuovi codici del lavoro

Due disposizioni in particolare preoccupano il mondo del lavoro. Una riguarda l’allentamento delle regole sui licenziamenti: in passato le aziende con almeno 100 dipendenti dovevano chiedere un’autorizzazione governativa per procedere, mentre ora la soglia salirà a 300. L’altra introduce l’obbligo per i lavoratori di fornire un preavviso di 14 giorni prima di proclamare uno sciopero — una regola prima limitata al settore pubblico — riducendo ulteriormente il potere negoziale dei dipendenti.

Ma le centrali sono in allarme anche per l’estensione dell'orario di lavoro, per una serie di misure che renderanno più difficile la costituzione e il riconoscimento dei sindacati e indeboliranno anche la risoluzione delle controversie, sostituendo i giudici del lavoro con tribunali arbitrali.

"Questi codici del lavoro indeboliscono le tutele essenziali - ha dichiarato Sanjay Singh, segretario generale Intuc -, in particolare per quanto riguarda la libertà di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva, i limiti all'orario di lavoro, la sicurezza e la salute sul lavoro e la previdenza sociale, e spingeranno un numero sempre maggiore di lavoratori verso condizioni precarie".

Via libera a privatizzazioni e outsourcing

Per il sindacato le nuove norme accelerano i processi di privatizzazione ed esternalizzazione all’interno dei principali servizi pubblici. Dal momento che rendono più semplice per i datori di lavoro ricorrere a personale temporaneo, meno pagato e con tutele ridotte, i codici creano un forte incentivo per amministrazioni pubbliche e aziende statali a sostituire i posti di lavoro stabili con appalti e outsourcing.

Ne deriverebbe non solo una perdita di continuità occupazionale e un indebolimento dell’organizzazione sindacale, ma anche l’apertura ai privati di funzioni cruciali nei servizi pubblici essenziali, nella sanità, nell’istruzione e nelle utilities. Anziché rafforzare i controlli e la capacità di far rispettare le norme, il nuovo impianto legislativo riduce l’efficacia dei sistemi di ispezione e dei meccanismi di reclamo, rendendo ancora più complicato per i lavoratori far valere i propri diritti.

Il governo, inoltre, è sotto accusa per avere aggirato i meccanismi tripartiti consolidati. La Conferenza del lavoro, il principale forum tripartito del Paese, non si riunisce dal 2015. Anche in India la concertazione è finita da un pezzo.