La manovra finanziaria non investe in sanità. Anzi, il governo è riuscito ad ottenere un terribile primato: ha raggiunto il rapporto risorse per sanità sul pil più basso in assoluto. E il depauperamento del Servizio sanitario nazionale non è una casualità ma una strategia: definanziare il Ssn, favorire la privatizzazione della sanità. È tanto vero quel che affermiamo che basta chiamare il Cup del Lazio e si scopre che qualunque indagine si voglia prenotare, da una tac a una risonanza, da un’ecografia e una colonscopia, gli unici presidi offerti da chi risponde al telefono sono privati.

Salute solo per i ricchi

Dal 2022 al 2024 le famiglie italiane hanno speso di tasca propria oltre 41 miliardi per prestazioni sanitarie e a questa cifra ne va affiancata una più allarmante: nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%). A rinunciare alle cure sono soprattutto gli anziani e le donne. Questi sono numeri snocciolati da Banca d’Italia nel corso dell’audizione parlamentare sulla legge di bilancio che fotografano una cruda realtà: da quando governa la destra la situazione è nettamente peggiorata.

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Taglio delle risorse

È l’Area Stato sociale della Cgil a far di conto: la realtà che emerge è davvero drammatica per le conseguenze che porta con sé. Il disegno di legge di Bilancio 2026 porta il fabbisogno sanitario nazionale del 2026 ad appena il 6,15% del pil, pari a 142,9 miliardi di euro, prevedendo un incremento di 2,4 miliardi di euro e 2,65 miliardi rispettivamente per il 2027 e 2028. In rapporto al pil, la previsione del Fsn non solo resta inadeguata ma arriverà a un picco negativo mai registrato, tornando a scendere nel 2027 al 6,04% fino a sprofondare al 5,93% nel 2028: valori assolutamente insufficienti a garantire il diritto alla salute e a rispondere ai bisogni urgenti delle persone. Con queste cifre non solo non si galleggia ma si affonda, lentamente forse, ma si affonda.

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Il commento della Cgil

“Si tratta – secondo Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil – di importi economici che non consentono né la valorizzazione del personale né le nuove assunzioni, prevedendone solo un quinto di quelle che sarebbero necessarie solo per garantire l’assistenza territoriale. Oltretutto, le risorse non sono destinate al sostegno e rafforzamento dell’attività ordinaria del servizio pubblico ma sono in gran parte vincolate a specifici progetti”.

Medici allo stremo

Lo attesta il 59 Rapporto Censis appena presentato: “Il 66% dei medici non ha tempo sufficiente per fornire informazioni e dialogare con pazienti e familiari, il 65,9% esercita la professione in strutture con gravi carenze di personale, il 51,8% è stato costretto a utilizzare attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti. Così, il 91,2% dei medici ritiene che lavorare nel Servizio sanitario nazionale sia diventato più difficile e stressante, il 41,2% non si sente sicuro quando svolge il proprio lavoro a causa del moltiplicarsi degli episodi di violenza, il 18,0% ha paura di lavorare di notte, il 71,8% dei medici dichiara di sentirsi un capro espiatorio delle carenze del sistema”.

Il 12 dicembre è sciopero

Le ragioni dello sciopero generale sono evidenti dai numeri appena elencati, Barbaresi, però, ci tiene a sottolineare. “È urgente fermare lo smantellamento del Ssn e la privatizzazione della salute. Occorre riaffermare il diritto alla salute, riallineando i livelli di offerta ai bisogni delle persone. Bisogni da prendere in carico e persone titolari di diritti e non meri consumatori di prestazioni sanitarie, spesso a pagamento per chi può permettersele”.

“Siamo chiamati – conclude – a fare la nostra parte per difendere e rafforzare il Ssn: la principale infrastruttura sociale del Paese a tutela del fondamentale diritto alla salute e fattore indispensabile per coniugare il benessere della popolazione, lo sviluppo economico e la coesione sociale”.

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