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L’industria italiana è in fortissima difficoltà. Lo dicono i numeri: la produzione è in calo ininterrotto da quasi tre anni, i primi nove mesi del 2025 registrano un -0,9 per cento in termini annui. Una crisi che non risparmia alcun settore: il governo vara un “piano di chiusura” per l’ex Ilva, mentre solo nell’ultimo biennio da Stellantis sono usciti 6 mila lavoratori (e il 61 per cento di quelli rimasti è in cassa integrazione).
Il progressivo indebolimento del sistema produttivo non è un semplice ciclo negativo, ma il risultato dell’assenza strutturale di politica industriale. La Cgil denuncia un governo privo di visione strategica, incapace di orientare la transizione tecnologica e ambientale e di sostenere un modello di sviluppo capace di tenere insieme impresa, lavoro e innovazione.
“Per il governo – spiega il segretario confederale Cgil Luigi Giove –questa legge di bilancio ‘rilancia l’Italia’. In realtà servirebbe una finanziaria capace di indicare una direzione di marcia per investire sullo sviluppo del Paese, invece abbiamo solo bonus sparsi, tagli ai servizi pubblici, zero strategia”.
Una legge di bilancio, prosegue Giove, in cui “si ignorano la caduta libera della produzione industriale, l’automotive in ritirata, l’acciaio in crisi permanente, la scomparsa dal perimetro produttivo nazionale della chimica di base e le tante crisi delle aree industriali del Mezzogiorno. Per questo il 12 dicembre si sciopera”.
Le richieste della Cgil
La Confederazione chiede al governo "vere politiche industriali per i settori manifatturieri e i servizi, per innovare il nostro sistema produttivo, governare la transizione ambientale e digitale, difendere l’occupazione, qualificare la formazione e creare nuovo lavoro stabile e di qualità”.
La Cgil, inoltre, evidenzia che “si accelera un processo di deindustrializzazione che prosegue da tre anni”. Forte è la critica al governo, che “non mette in campo alcuna politica industriale in grado di invertire il declino produttivo e affrontare la sfida della conversione tecnologica, energetica ed ecologica del nostro sistema produttivo”.
La produzione industriale
Il “Rapporto industria 2025” del Centro studi di Confindustria, presentato il 26 novembre scorso, mostra una fotografia impietosa del settore. Lontana dal pre-pandemia si ritrova ancora la produzione industriale: nei primi nove mesi dell’anno registra un -0,9 per cento in termini annui.
Dopo un primo trimestre in territorio positivo, la produzione industriale rallenta nel secondo trimestre per crollare di nuovo (-0,5 per cento) nel terzo trimestre. Il Rapporto sottolinea che a partire dal 2022 “il calo è stato diffuso, ma si osserva una forte eterogeneità tra Paesi: Germania e Italia presentano una flessione marcata, mentre Francia e soprattutto Spagna un profilo di crescita moderata”.
Analizzando meglio queste differenze, si evidenzia che nel 2024 Germania e Italia registrano risultati molto negativi (rispettivamente -4,6 e -4,0 per cento annui), la Spagna un saldo positivo (+0,4) e la Francia una variazione pari a zero. Nei primi nove mesi del 2025 resta il divario: la produzione industriale è ancora negativa sia in Germania (-1,5 per cento) sia in Italia (-0,9), la Francia segna sempre zero, mentre la Spagna cresce ancora (+1,0).
Giove, Cgil: “Il governo ignora il declino dell’industria”
“Il Governo Meloni racconta il suo solito ‘va tutto bene’, ma il Paese reale va in tutt’altra direzione”, commenta il segretario confederale Cgil Luigi Giove: “Nel settore dell’auto continuiamo a perdere modelli, investimenti e posti di lavoro. Nell’acciaio galleggiamo da anni tra promesse e commissariamenti, con il risultato che produciamo più carte e decreti che lamiere. Nella chimica di base, quella che ogni Paese avanzato considera un asset strategico, assistiamo a un lento ma costante smantellamento. Un declino che non nasce oggi, certo, ma che oggi il governo sceglie scientemente di ignorare”.
Eppure, la narrazione “ufficiale” è sempre la stessa: è tutto sotto controllo. “Invece le imprese chiudono, desertificando i territori”, prosegue Giove: “I lavoratori vivono di ammortizzatori sociali, il lavoro è frammentato e svilito tra decine di contratti, i territori perdono competenze, qualità industriale e reddito”.
L’Europa investe su filiere strategiche, transizione green, innovazione tecnologica. E l’Italia? “Sembra convinta – argomenta l’esponente sindacale – che l’industria si regoli da sola, che le politiche industriali siano appannaggio del privato, sempre più spesso rappresentato da fondi speculativi esteri. Senza una regia pubblica, senza investimenti, senza un piano di politiche industriali e garanzie sociali, la deindustrializzazione non è un rischio: è una realtà che avanza”.
Per questo il 12 dicembre si sciopera. “Non per testimonianza, non per identità, ma per una scelta politica chiara: chiedere allo Stato di assumersi la responsabilità di guidare le trasformazioni”, aggiunge Giove: “Difendere il lavoro industriale non è un retaggio novecentesco, è difendere il futuro del Paese. Senza automotive, senza siderurgia, senza chimica, senza ricerca, senza manifattura, l’Italia perde la sua ‘sovranità’ e diventa un grande bazar delle speculazioni”.
il segretario confederale Cgil così conclude: “Il 12 dicembre ci fermiamo per rimettere in moto l’Italia, per dire che un’altra strada è possibile e necessaria. Una strada di filiere forti, partecipate pubbliche protagoniste e al servizio del Paese, investimenti veri, più diritti, più lavoro, più futuro. Scioperiamo perché questo governo non vede la realtà, ma chi lavora sì, la vede benissimo”.























