“Il decreto Flussi, che dovrebbe essere la modalità d’ingresso regolare nel nostro Paese, continua a dimostrare tutte le sue criticità e la sua inefficacia, con un tasso di successo molto basso anche in Veneto”, perché, in realtà, “non consente di raggiungere le quote d’ingresso di migranti previste per il 2025 per il lavoro stagionale turistico e agricolo”.

La denuncia arriva dalla segreteria della Cgil Veneto, aggiungendo che il meccanismo del “click day” non solo costringe chi intende venire a lavorare in Italia a pagare migliaia di euro intermediari che spesso fanno parte della criminalità organizzata, ma non dà nemmeno risposte alle imprese che cercano personale.

Il sindacato fornisce i dati per demolire una narrazione distorta della realtà, con la quale si racconta di un’invasione incontrollata e capillare di migranti. “Non è così – scrive la segretaria regionale della Cgil Veneto, Silvana Fanelli – I cittadini stranieri residenti nella nostra regione, secondo gli ultimi dati disponibili, sono poco più di 500.000, pari al 10,3% della popolazione totale. Un dato che negli ultimi 10 anni è rimasto pressoché stabile e che mette il Veneto al quarto posto a livello nazionale per numero di residenti stranieri (e al sesto posto per incidenza sulla popolazione regionale).

Di questi 500.000, circa 336.000 hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo. Altro dato che demolisce la narrazione mistificatoria è che l’acquisizione della cittadinanza ha un tasso di poco più del 5%. Sempre a livello regionale, gli alunni con cittadinanza non italiana sono circa il 15%. Di questi, il 70% è nato in Italia”.

Alla fine di tutte le procedure previste dal decreto Flussi, “il numero di lavoratrici e lavoratori che riescono a chiudere l’iter e ottenere il permesso di soggiorno continua a essere drammaticamente esiguo – prosegue Fanelli -, tanto da non raggiungere le quote d’ingresso previste per il 2025 per il lavoro stagionale turistico ed agricolo, mentre per il settore dell’assistenza familiare si è invece in presenza di un dato che va oltre la quota”.

Per il sindacato con le modalità del decreto si continua a negare la necessità di “una riforma strutturale che parta da un’analisi concreta della situazione migratoria in Italia, e nel Veneto, e del mondo del lavoro. Una riforma che dovrebbe partire non da politiche restrittive e punitive, controproducenti per lavoratori e imprese, ma da politiche di inclusione e di contrasto all’illegalità e allo sfruttamento”.

“Alla base di questa riforma – conclude – non può che esserci l’abolizione della legge Bossi-Fini, che è la radice dei tanti fenomeni di sfruttamento, irregolarità e invisibilità delle persone che arrivano nel nostro Paese per lavorare”.