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Istat e Bankitalia oggi audite in Commissione hanno espresso i loro rilievi sulla Manovra. Chiamarla stroncatura è forse istituzionalmente eccessivo ma la sostanza non cambia. Prima il presidente dell’Istat Francesco Maria Cheli, poi il vice capo Dipartimento Economia e Statistica della Banca d'Italia Fabrizio Balassone hanno illustrato le loro osservazioni davanti alla commissione Bilancio di Camera e Senato, in audizione sulla Legge di Bilancio.
È una manovra modesta. Stiamo parlando di 18,7 miliardi, calcola Istat: “Corrispondenti a meno di un punto percentuale di Pil, ed è finanziata sostanzialmente in pareggio di bilancio”. Ma la vera denuncia arriva nella frase successiva: “Una quota consistente di finanziamento è garantita da misure non strutturali, come la rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il contributo di banche e assicurazioni”. Ora ci domandiamo: ennesima rimodulazione del Pnrr e in quale direzione? E poi, siamo davvero certi che il contributo di banche e assicurazioni arriverà, e soprattutto in quale forma? Prestito, anticipo o cosa?
Irpef e riduzione delle tasse
Ma quale riduzione delle tasse a favore del ceto medio. Già la Cgil ha dimostrato conti alla mano come la rimodulazione delle aliquote Irpef praticamente non porterà nessun beneficio a chi ha redditi medi e bassi, e per di più a causa del fiscal drag il governo ha prelevato indebitamente 25 miliardi nel triennio 2022-2024 dalle tasche di lavoratrici e lavoratori.
Ora è Istat ad attestare che i vantaggi della rimodulazione delle aliquote portando quella al 35% al 33% vanno soprattutto – meglio dire quasi esclusivamente – nelle tasche delle famiglie più ricche. In ogni caso stiamo parlando di un minor gettito di 2,4 miliardi, chi ne beneficerà?
Secondo Bankitalia ci sono criticità anche sul fronte degli sgravi fiscali per i rinnovi contrattuali, dagli interventi di detassazione “emergono incertezze sulle modalità di attuazione della misura e sul perimetro dei beneficiari”. Inoltre, l’impatto sulla contrattazione sarebbe contenuto: “La capacità delle nuove norme di accelerare i rinnovi appare limitata”, ha spiegato Balassone, ricordando che circa il 40% dei dipendenti privati ha già accordi in vigore oltre il 2026.
Si favoriscono i ricchi
Le cifre di cui stiamo parlando sono presto fatte. Scrive Francesco Maria Cheli che la modifica delle aliquote “coinvolgerebbe poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio annuo pari in media a circa 230 euro”. Dunque, 230 diviso i 12 mesi dell’anno fa 19,1 euro al mese. Ma a chi andranno? E qui lo sconcerto arriva forte portando con sé la domanda: ma al ministero del Tesoro sanno far di conto? Si legge nell’Audizione dell’Istat: “Oltre l’85% delle risorse sono destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto”. E per di più, è sempre l’Istituto ad affermarlo: “Per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare”.
Sul piano redistributivo, Bankitalia rileva che la manovra fa poco per ridurre le disuguaglianze tra le famiglie: “Le misure a sostegno del reddito non comportano variazioni significative nella distribuzione del reddito disponibile”, ha sottolineato Balassone. La riduzione dell’aliquota Irpef per il secondo scaglione di reddito, ha aggiunto, “favorisce i nuclei appartenenti ai due quinti più alti della distribuzione, sebbene con un impatto percentualmente modesto”, mentre gli interventi di assistenza sociale si concentrano sui redditi più bassi, ma con effetti anch’essi “limitati”.
I conti, negativi, della sanità
La domanda che forse può essere solo sussurrata è: ma visto che la riduzione delle aliquote Irpef favorisce le famiglie più ricche non sarebbe meglio mettere quei 2,4 miliardi di minor gettito nella sanità pubblica? Ce ne sarebbe bisogno davvero visti i numeri snocciolati da Cheli. Sono oltre 41 i miliardi spesi di tasca propria dalle famiglie per consentire ai propri cari di curarsi, vista l’inefficienza della sanità pubblica. Ma a questa cifra ne va affiancata una più allarmante: nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell'anno precedente (7,6%). A rinunciare alle cure sono soprattutto gli anziani e le donne.
In questi numeri c’è lo svelamento delle menzogne del governo. Non è affatto vero che si è risolto il problema delle liste di attesa, visto che queste lungaggini sono tra le prima cause della rinuncia alle cure, così come non è vero che tanti soldi sono stati destinati alla sanità pubblica visto che oltre un milione di cittadini in più non si è curato mettendo così seriamente a rischio la propria salute.
Il fallimento dei bonus
In conferenza stampa Meloni non solo ha difeso la logica dei bonus ma ha affermato che aumentano gli aiuti alle famiglie perché si reitera il bonus mamme. Ma stiamo parlando di uno strumento perverso, non fosse altro perché arriva a un quarto scarso delle lavoratrici con figli alle quali arriverà un contributo di 60 euro mensili. A parte la scarsità del contributo, ma tutte le altre madri lavoratrici?
Pensioni, attenzione al meccanismo di adeguamento
Balassone ha invitato alla prudenza sul fronte pensionistico: “Sarebbe meglio non toccare troppo il meccanismo di adeguamento dei requisiti di accesso alla pensione alla speranza di vita”, ha affermato, ricordando che tale sistema è stato introdotto “per una questione di equità intergenerazionale, al fine di mantenere un equilibrio tra tempo di lavoro e pensione”. Un suo indebolimento, ha aggiunto, potrebbe comportare “un aumento della spesa in prospettiva che renderebbe più complessa la gestione della finanza pubblica”, pur riconoscendo che l’intervento previsto è “limitato nel tempo”.
Ufficio complicazione affari semplici
Più volte abbiamo denunciato come soprattutto i cittadini e le cittadine più fragili facciano davvero fatica sia a conoscere i propri diritti che a riuscire ad ottenerli. Ci sarebbe, quindi, bisogno di semplificare. Invece Meloni, Giorgetti e chi per loro “studia” le misure da inserire in manovra o si sono sbagliati o non hanno capito cosa hanno fatto. Hanno però raccontato che hanno ampliato i criteri per la definizione dell’Isee, ebbene – sempre secondo Istat – la riforma, dello strumento, che riguarda una serie di agevolazioni (dall'assegno unico al bonus nido), "il legislatore introduce una nuova tipologia di Isee che si andrebbe ad aggiungere a quelle già esistenti (Isee ordinario, Isee universitario, Isee minorenni con genitori non coniugati, Isee socio sanitario, Isee socio sanitario residenze, Isee corrente), aumentando il grado di complessità dello strumento". Anche in questo caso, davvero un bel risultato.

























