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Siamo al paradosso perfetto: per difendere l’infanzia, si violano le lettere d’amore. Per fermare i predatori, si spiano i fidanzatini. È la magia del progresso etico-tecnologico europeo: proteggere i minori trasformando ogni cittadino in sospetto. Così nasce il “Chat Control”, regolamento dalla faccia tenera e dal cuore di acciaio, che promette di difendere i bambini scorrendo le nostre chat, i nostri messaggi, le nostre confessioni digitali. L’Europa del diritto diventa l’Europa del controllo, e la ninna nanna si fa algoritmo.
L’idea è questa: far scansionare ai colossi del web le nostre parole prima che siano inviate, come in un confessionale automatizzato dove il prete è un software e l’assoluzione arriva in base al codice binario. Il peccato? Un’immagine sospetta, un termine ambiguo, un’emozione fraintesa. Gli innocenti dovranno perdonare i falsi positivi, i colpevoli ringraziare per la lezione di crittografia. Si chiama sicurezza, ma somiglia tanto a un test di obbedienza collettiva.
La retorica è impeccabile: chi osa criticare, odia i bambini. Eppure il sospetto si insinua come un virus digitale. Perché dietro l’ansia di proteggere si cela sempre la fame di sapere, e sapere tutto di tutti è il sogno eterno del potere. Oggi la scusa è morale, domani sarà sanitaria, dopodomani climatica. Ogni emergenza produce la sua app, ogni paura il suo login obbligatorio.
Nel frattempo, i signori del silicio lucidano i server e i ministri della sicurezza brindano alla trasparenza universale. La privacy diventa un ricordo romantico, come la cabina telefonica o la posta scritta a mano. Ci diranno che siamo più liberi, perché nulla sarà più segreto. E in fondo, che cosa abbiamo da nascondere, se non la nostra umanità?
Forse la vera minaccia all’infanzia non è nelle chat criptate, ma nel mondo adulto che pretende di educare alla fiducia sorvegliando ogni respiro. La generazione che crescerà sotto il Chat Control non avrà più paura dei mostri, ma dei propri pensieri. E sarà quella la vittoria finale: il controllo non come imposizione, ma come abitudine.