Si sblocca lo stallo della vertenza alla Manifattura San Maurizio di Reggio Emilia, azienda della galassia Max Mara. Dopo due giornate di sciopero a maggio, la direzione ha deciso di incontrare le lavoratrici sui problemi legati alle condizioni di lavoro. A darne notizia è Maria Arca Ascione, delegata Filctem Cgil, intervenendo dal palco di piazza Gioberti al termine della manifestazione dello sciopero generale. Le dichiarazioni sono state pubblicate dal quotidiano Reggio Sera.

Una piattaforma costruita dal basso

“Da settembre ad oggi abbiamo ricostruito con tenacia un percorso democratico – spiega Ascione – coinvolgendo tutti i colleghi e costruendo una nuova piattaforma rivendicativa votata dalla maggioranza dei lavoratori”. Un passaggio che, secondo la delegata, dimostra come le criticità denunciate non siano isolate. “Questa apertura ci ridà un pizzico di speranza, anche se sappiamo che la vertenza è ancora lunga e non scontata”.

Il nodo del polo della moda

Ascione respinge con decisione le polemiche sulla rinuncia al polo della moda alle fiere di Reggio, esprimendo solidarietà al sindaco Marco Massari. “Le nostre rivendicazioni non hanno mai avuto nulla a che fare con quel progetto. Non siamo state strumentalizzate”. Sulla stessa linea Cristian Sesena, segretario della Cgil reggiana: “È una battaglia sindacale classica per salario e diritti. Un gruppo come Max Mara non decide se investire o disinvestire per uno sciopero di 70 lavoratrici su migliaia di dipendenti”.

Cottimo e regole decise dall’azienda

Il cuore della vertenza resta l’organizzazione del lavoro. In Manifattura San Maurizio non viene applicato il contratto nazionale dell’industria tessile, ma un regolamento interno deciso unilateralmente dall’azienda. Orari, pause, ferie, permessi e perfino aspetti retributivi sono stabiliti senza confronto. Gli inquadramenti avvengono per categorie e non per livelli, bloccando di fatto la crescita salariale per gran parte della vita lavorativa.

Cos’è il K100 e perché pesa sulle lavoratrici

Gran parte delle sarte lavora a cottimo. Il parametro centrale è il cosiddetto K100: un obiettivo produttivo fissato dall’azienda che indica il numero di capi da realizzare in una giornata standard. Ogni operazione è cronometrata al centesimo di secondo, come in una catena di montaggio. Se il K100 non viene raggiunto, scattano richiami disciplinari e riduzioni di salario. Questo sistema costringe le lavoratrici a ritmi sempre più veloci, perché nessuna può permettersi di guadagnare ancora meno di quanto già percepisce.

Salute compromessa e richiesta di maggiore dignità

“Dopo anni di questi ritmi – denuncia Ascione – molte di noi perdono capacità fisiche, sviluppano patologie alle spalle, ai gomiti, alle mani e problemi psicologici”. Alcune malattie vengono riconosciute come professionali, altre no, con iter lunghissimi. “Nel frattempo continuiamo ad ammalarci”. La richiesta è chiara: applicare il contratto nazionale per migliorare subito condizioni di lavoro, salario e tutele.