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“Uno sciopero storico”, così definisce le due giornate di fermo lavorativo alla Manifattura San Maurizio Srl, azienda del gruppo Max Mara, Erica Morelli, Segretaria Generale della Filctem Cgil di Reggio Emilia. Il 21 e il 23 di maggio circa la metà delle 220 lavoratrici, sì lavoratrici l’azienda impiega tutte donne, hanno incrociato le braccia e le macchine da cucire. Si sono fermate, era dal 1980 che non succedeva. E non è un caso che ha fermarsi sia stata un’azienda che impiega tutte donne.
Le ragioni dello sciopero
Condizioni di lavoro inaccettabili, rischi per la salute e la sicurezza delle lavoratrici, impossibilità di relazioni sindacali, nessun accordo di secondo livello per la redistribuzione del reddito che la manifattura San Maurizio produce, eccome. Queste le ragioni della vertenza che “non si ferma finché non vi sarà almeno la disponibilità al confronto”, aggiunge Morelli.
Ma c’è di più
“Ci hanno chiamate mucche da mungere. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, e ci hanno consigliato gli esercizi da fare a casa per dimagrire. Ci pagano praticamente a cottimo e controllano anche quante volte andiamo in bagno, ma siamo tutte donne, abbiamo il ciclo: è disumano. Ora basta”. Questo il racconto di alcune delle dipendenti dell’azienda che produce i famosi cappotti Max Mara, cubano il 10 per cento della produzione, quel che serve per avere la targhetta “Made in Italy” anche sul resto della produzione che viene fatta all’estero. Personale altamente qualificato, dunque, “cucitrici” che ricevono una busta paga di 1300 euro al mese, quando va bene.
Un contratto che non c’è
È bene ricordare che il Gruppo Max Mara, un po’ come la Fiat di Marchionne e ora Stellantis, non applica il Contratto collettivo nazionale del settore ma un regolamento interno e, spiega la segretaria: “non c'è la volontà di redistribuzione del reddito rispetto alla produttività dell'azienda, un salario aggiuntivo oltre al minimo stabilito, ovviamente per legge”. Sul sito di Max Mara la Manifatture San Maurizio è presentata come il gioiellino del gruppo. Ma a rendere preziosa la manifattura è la professionalità delle dipendenti, professionalità non riconosciuta. “Sono tutte cucitrici – aggiunge Morelli - hanno professionalità che oggi si fa fatica a trovare, non esistono quasi più, Quindi va anche difesa e valorizzata la loro la professionalità anche in termini salariali”.
Quando si dice differenziale salariale di genere
I minimi tabellari del contratto dei metalmeccanici sono più alti dei minimi tabellari del contratto dei tessili. Non sarà che questo avviene perché i metalmeccanici sono in stragrande maggioranza sono uomini e i tessili, in realtà come capita alle Manifatture sono quasi tutte donne? Se a questo si aggiunge che il marchio di alta moda si è fatto un regolamento interno e non accetta la contrattazione di secondo livello il gioco è fatto, va in scena la discriminazione. Per di più le lavoratrici, lo ricordiamo altamente specializzate, sono pure oggetto di insulti sessisti e discriminatori. Se davvero si vuole costruire una cultura della parità e uscire finalmente e fino in fondo dal patriarcato occorre anche partire dai luoghi di lavoro.
Partire dai luoghi di lavoro
Troppo facile indignarsi ai racconti della violenza contro le donne e dei femminicidi, troppo facile se non si costruisce quotidianamente una cultura diversa dal patriarcato, che combatte gli stereotipi di genere, che non discrimina e che riconosce la parità nella differenza. Il giudizio di Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, è netto: “Esprimiamo totale solidarietà alle lavoratrici che si stanno mobilitando per dire basta a condizioni di lavoro e a vessazioni inaccettabili. Le testimonianze raccolte nei media descrivono uno scenario gravissimo, fatto di pressioni psicologiche, offese, e ritmi disumani: non è poi accettabile che queste lavoratrici continuino a non vedere garantiti diritti fondamentali e tutele previste del contratto collettivo. Diffondere un’immagine patinata del Made in Italy mentre si trattano le lavoratrici come oggetti è una contraddizione davvero intollerabile. La Cgil ribadisce con forza che il rispetto dei diritti di chi lavora è la vera ricchezza di un paese. Invitiamo Max Mara a riconoscere la propria responsabilità e a tutelare la dignità delle lavoratrici”.
La forza delle donne
Poco distante da Reggio Emilia un’altra vertenza si è conclusa positivamente proprio grazie alla tenacia e alle battaglie delle lavoratrici. La Perla tornerà a produrre perché le “sue donne” non si sono fermate, sono rimaste unite e hanno espresso una forza tale che ha consentito un futuro al loro lavoro. Le lavoratrici della Manifattura San Maurizio non si fermeranno. “Le dipendenti – sottolinea la segretaria della Filctem di Reggio Emilia - sono dispostedi nuovo a fermarsi, in mancanza di una disponibilità reale dell’Azienda a discutere seriamente della rigidità organizzativa, usura fisica, pressioni individuali, mancato riconoscimento economico e dei passaggi di livello, evidenziate in quelle due iniziative di sciopero. La mobilitazione continua”.