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Erano le 8.15 dello scorso 5 luglio: un boato ha svegliato i cittadini e le cittadine in quasi tutti i quartieri della capitale, lo scoppio di un distributore di benzina, un incidente sul lavoro. Feriti, loro sì in maniera grave, chi stava operando nel distributore e con loro anche gli agenti di polizia: i vigili del fuoco, agli addetti del 118 intervenuti per mettere l’area in sicurezza e prestare soccorso ai feriti. Lavoratori e lavoratrici nell’esercizio delle proprie funzioni. Immediatamente, insieme agli altri operatori - dalla Protezione civile alle forze dell’ordine e agli operatori sanitari – sono arrivati anche gli Ispettori del lavoro per fare i rilievi e gli accertamenti di legge.
Chi protegge chi protegge?
Arrivati ma praticamente a mani nude, senza cioè nessun dispositivo di protezione personale e nemmeno un protocollo definito per gli interventi in situazioni di emergenza. Davvero un bel paradosso: tutelano e dovrebbe tutelare i lavoratori e le lavoratrici, a loro volta privi di qualsivoglia tutela. E non vale solo per le situazioni di emergenza: vale anche per i rilievi e le ispezioni per l’emergenza caldo. A denunciarlo Claudio Pretelli, ispettore del lavoro di Roma con trent’anni di carriera alle spalle ed Rsu della Fp Cgil. Con lui sono anche i colleghi che operano in altri territori, Mirko Ginelli di Lecce e Graziella Secreti di Cosenza.
L’allerta caldo
Il secondo paradosso di questa vicenda lo sottolinea Matteo Ariano, coordinatore ispettori del lavoro della Fp Cgil: “A livello nazionale quest'anno, a differenza dell'anno passato, non mi risulta sia stata attivata ancora la campagna specifica contro il calore”. Non risulta nemmeno ai suoi colleghi della Calabria, Puglia e Lazio privi di direttive dell’Ispettorato nazionale del lavoro, attualmente più interessato alle statiche e all’immagine che ad altro. Eppure, come ha sottolineato nei giorni scorsi Francesca Re David segretaria confederale della Cgil, occorre “uscire dall’emergenza e affrontare il problema strutturalmente. Il Parlamento deve mettere a disposizione gli strumenti, il protocollo delle parti sociali indica il metodo. Per costituire un quadro di riferimento strutturale che serva alle ordinanze. Gli elementi da definire sono il cosiddetto valore soglia, il limite oltre il quale si dovrebbe intervenire con blocchi, distribuzione dei dispositivi di protezione individuale e una rimodulazione dell’organizzazione del lavoro”. L’aumento delle temperature infatti è divenuto strutturale, non più episodico.
Anche gli ispettori soffrono il caldo
Per far rispettare le ordinanze e controllare che con 37 gradi al lavoro in cantiere o nei campi non ci sia nessuno, ispettori e ispettrici devono andare nei campi e nei cantieri proprio in quelle ore di sospensione del lavoro. Ma “un protocollo dell’Inl da seguire non esiste”, afferma Matteo Ariano e aggiunge: “Non abbiamo dotazioni specifiche o dispositivi specifici per il rispetto della direttiva calore. Potremmo arrivare al paradosso – il terzo aggiungiamo noi – che io vado nel cantiere a mezzogiorno e mezzo: non ho una zona d’ombra dove ripararmi, non mi forniscono di acqua, di crema solare o delle bustine di sali minerali. Se voglio proteggermi devo procurarmeli da solo”.
In Calabria
Per fortuna nei diversi territori ci sono buone prassi che vanno sottolineate. Racconta Graziella Secreti, ispettrice in Calabria: “Fino all'anno scorso, come vigilanza, arrivavano delle indicazioni a livello nazionale in base alle quali attivavamo delle attività di vigilanza intensiva. Quest’anno ancora non è arrivata in maniera esplicita questa indicazione, però la vigilanza si sta facendo ugualmente”. Secondo una ordinanza regionale, sollecitata fortemente dalla Fillea e dalla Cgil, è vietato il lavoro nelle giornate segnalate con il bollino rosso dalle 12.30 alle 16. La novità di quest’anno che Secreti saluta come un grande successo è che “oltre ai settori dell’edilizia e dell’agricoltura, l’ordinanza prevede le stesse limitazioni anche per il settore dell’igiene ambientale”.
In Puglia
In regione c’è una lunga tradizione di ordinanze regionali e di controlli, soprattutto in agricoltura ed edilizia, ma afferma Mirko Ginelli, ispettore a Lecce e coordinatore Fp Cgil: “Nonostante non ci siano indicazioni nazionali noi stiamo procedendo con ispezioni specifiche a seguito dell’ordinanza regionale, ma riguarda solo edilizia, agricoltura e lavori stradali. Nulla che riguarda ristoranti, bar o anche stabilimenti balneari così come tutte le lavorazioni al chiuso. Se nel Dvr non vi è la previsione del rischio calore non possiamo intervenire”.
Strumenti insufficienti
Le ordinanze regionali sono si importanti, ma non hanno la cogenza di una norma e allora che si fa? Lo spiega Graziella Secreti che dice: “Come vigilanza cosa andiamo a fare? Andiamo a vedere se nel Documento di valutazione dei rischi e nei piani operativi di cantiere è stato considerato il rischio specifico del caldo, altrimenti chiediamo venga inserito”. Claudio Petrelli aggiunge: “Ormai le direttive anticaldo sono diventate un’abitudine, ma non sono norma, se nel Dvr non vi è la previsione del rischio da calore o da irraggiamento noi abbiamo le mani legate. Per questo ci aspettavamo almeno un decreto ministeriale che mettesse un po’ d’ordine”.
Cosa servirebbe
Lo hanno messo nero su bianco le Rsu Fp Cgil dell’Ispettorato dell’area metropolitana di Roma. Lo dice Claudio Pretelli, critico sulla scelta di affrontare il problema del rischio calore con un protocollo tra le parti sociali: “Si rischia che qualcuno possa pensare di monetizzare il rischio. Basterebbe, invece, un provvedimento – un DM magari - per imporre alle aziende l'integrazione della valutazione dei rischi per i rischi correlati all'irraggiamento del sole e all'innalzamento delle temperature da estendere a tutte le attività, non solo all'agricoltura e all'edilizia, per ambienti di lavoro outdoor e indoor”.