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Sembra si siano messi d’accordi, e invece no. Sono state audite in Parlamento le istituzioni economiche più importanti, dalla Banca d’Italia al Cnel, dall’Istat all’Ufficio parlamentare di bilancio, passando per la Corte dei conti. Un tratto le accomuna: giudicare insufficiente la prossima legge di bilancio se verranno realizzati gli impegni adombrati nel Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), propedeutico alla prossima legge di bilancio.
È una manovra asfittica, che non contiene strumenti per incrementare la crescita. Anzi: il rischio è che sull’altare del pareggio di bilancio e della riduzione del debito - problema annoso per noi, ma è Meloni che ha sottoscritto gli ultimi accordi con Bruxelles - sia immolata la crescita. E la situazione si farà drammatica da settembre 2026 quando il Pnrr sarà concluso.
Banca d’Italia
“Le informazioni più recenti confermano, in sostanza, le nostre proiezioni di giugno, che indicavano una crescita modesta sia quest’anno sia nei prossimi, dovuta principalmente alla debolezza della domanda estera e al persistere di un’elevata incertezza”. Sono le parole pronunciate da Andrea Brandolini, capo del Dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, che non è certo consolante nel prosieguo del suo intervento. Ha affermato, infatti, che nel secondo trimestre del 2025 il pil italiano è “lievemente diminuito” a causa dei dazi imposti “dall’amico” Trump, e che il mercato del lavoro ha avuto segnali di raffreddamento.
La politica di bilancio, secondo la Banca d’Italia, è improntata alla “prudenza”, e quindi la crescita prevista si attesta sullo 0,5 per cento del pil. Ma quel che più colpisce è l’indicazione di come si potrebbe fare meglio: “Una riallocazione tra le diverse poste del bilancio può favorire la produttività e la crescita. Ciò accadrebbe, ad esempio, aumentando le risorse a favore di investimenti, ricerca e istruzione, e contestualmente razionalizzando le spese fiscali, rimuovendo gli elementi del sistema tributario che scoraggiano la crescita dimensionale delle imprese, arginando l’erosione della base imponibile dell’Irpef”. In ogni caso, ed è questa la critica più seria, il Dpfp “non include informazioni sufficienti per avanzare valutazioni sulle singole misure”.
L’Ufficio parlamentare di bilancio
Quella che si prospetta è una manovra “lievemente espansiva”, che avrà un impatto sul pil di 0,2 punti complessivi nel triennio: così la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari. Davvero un po’ pochino, tenendo conto che questo segno positivo è da attribuirsi quasi esclusivamente all’effetto del Pnrr che però va a esaurirsi. Non solo: l’ottenimento delle prossime rate delle risorse europee è legato al superamento “di criticità su diversi progetti”. Infine, la presidente Cavallari ha sottolineato l’importanza di preservare gli investimenti e la qualità degli interventi, e di proseguire con decisione sul percorso delle riforme.
L’Istat
L’Istituto nazionale di statistica osserva che il contenuto del Dpfp “non incide sul Pil” nel 2026, e racconta di una manovra asfittica e senza ambizione. Certo, occorre aspettare la diffusione della vera e propria legge di bilancio per capire come e dove verranno allocate le risorse, ma a leggere il testo dell’audizione di Stefano Menghinello, direttore del Dipartimento per le statistiche economiche, ambientali e conti nazionali dell'Istiat, c’è da rimanere delusi.
“La manovra – spiega Menghinello – ammonterebbe a circa 16 miliardi di euro nel 2026 e sarebbe finanziata sostanzialmente in pareggio di bilancio (in disavanzo per circa un miliardo), con circa il 60 per cento delle risorse provenienti da interventi sulla spesa e il resto da misure dal lato delle entrate, ma senza di fatto incidere sul Pil”. Se volessimo tradurre, potremmo dire che gli interventi sulla spesa sono tagli e le misure sul lato delle entrate sono tasse.
Corte dei conti
La Corte dei conti segnala che “la crescita del pil italiano è stata pari allo 0,7 per cento, in rallentamento rispetto all’anno precedente (+1,0 per cento), mentre nell’area euro il pil è aumentato dello 0,9 per cento, in miglioramento rispetto al 2023”. Visti questi numeri, allora, ci si aspetterebbe un sostegno vero alla domanda interna, unico fattore di crescita; la magistratura contabile, invece, afferma che la tenuta dei conti pubblici lascia “spazi molto stretti per politiche espansive”.
La Corte sottolinea l’esigenza di “sostenere la domanda interna e i redditi del ceto medio attraverso interventi di riduzione del prelievo fiscale” (sì, avete letto bene, riduzione delle tasse), nonché di mettere a punto “misure indirizzate a rilanciare la crescita”. Perché e quali?
La risposta arriva dal testo dell’audizione: “Pur tenendo conto della programmazione delle spese per la difesa, dovranno essere in grado di proseguire nel percorso avviato di modernizzazione del Paese, nonché di stimolare l’incremento della produttività, il rilancio dei consumi, gli interventi per la sanità e per il completamento degli investimenti infrastrutturali, infine il rafforzamento delle capacità di ricerca e innovazione a sostegno del tessuto produttivo, economico e sociale del Paese”.
Cnel
Come ormai si è visto, Renato Brunetta interpreta il suo ruolo di presidente del Cnel in maniera assai “espansiva”, ma nell’esaminare il Dpfp sembra trovarsi assolutamente d’accordo con la Corte dei conti. “In un quadro di grande confusione a livello globale, sono però scaturiti anche alcuni elementi estremamente positivi. Innanzitutto, il nuovo ruolo assegnato alla domanda interna. È quel che il Cnel sostiene da tempo: passare dall’austerità e dall’eccesso di surplus nel commercio con l’estero a politiche di rafforzamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Questo vale per l’Europa e soprattutto per l’Italia”.
La preoccupazione, esplicitata da Brunetta, ma trasversale a tutti gli interventi, è quella che, finite le risorse del Pnrr, tutto si fermi: “Finito lo stimolo alla domanda, garantito dai fondi Pnrr, sarà decisiva la capacità di consolidare gli effetti sulla crescita e sulla produttività legati alle riforme, anche mediante una maggiore complementarità con le risorse della politica di coesione 2021-2027. Tanto più che, come è noto, gli investimenti hanno un moltiplicatore molto più elevato di quello della spesa corrente, soprattutto quando questa è fatta di trasferimenti”.
Senza ambizione, senza visione
L’ultimo Consiglio dei ministri ha bollinato il Documento da inviare a Bruxelles, ma la legge di bilancio, con le poste di risorse definite e allocate, ancora non esiste. E finché non sarà possibile leggere numeri e tabelle è difficile entrare nel merito. Più soldi per sostenere i salari, per la sanità e per le imprese, al momento sono solo titoli. Quel che emerge dal Dpfp che arriverà a Bruxelles è una mancanza assoluta di idea di Paese, di strategia per la crescita e di ambizione europea verso il futuro.
A quel che dicono le maggiori istituzioni economiche nazionali, certo la congiuntura internazionale è difficile e incerta, ma il governo italiano non sembra fare altro che manutenere i conti pubblici confidando nella buona sorte. E allora le ragioni della manifestazione nazionale della Cgil che si terrà a Roma il prossimo 25 ottobre, sono “scritte” nel Dpfp.