“Se le procedure di sicurezza fossero state rispettate, se le tecnologie avessero funzionato al meglio, nessuno si sarebbe mai potuto spiegare una strage come quella che è accaduta a Brandizzo. Quindi qualcosa, da una parte o dall’altra, non ha funzionato. Sta alla magistratura accertare cosa oggettivamente è accaduto. Però ci sono due dati che sottolineo. Non sappiamo ancora se e quanto siano attinenti all’incidente, ma abbiamo due temi”. Il giorno dopo la morte sui binari piemontesi di cinque operai, chiediamo a Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil, il sindacato dei trasporti, di fornirci qualche elemento di chiarezza su quella che è da tempo un’emergenza nazionale: la vita rischiata e persa quotidianamente da chi lavora sulle nostre infrastrutture.

Qual è il primo tema che segnali?
In Italia abbiamo una arretratezza infrastrutturale. Stiamo provando a recuperare in due modi. Con la costruzione di nuove infrastrutture (quindi Pnrr ecc.) e con l’aggiornamento e adeguamento delle infrastrutture esistenti. A questo si aggiunge la manutenzione ordinaria e straordinaria, ciclica, programmata, le operazioni che normalmente si fanno. Sul sistema infrastrutturale del Paese oggi c’è una grande pressione che fa a pugni con la spinta a mantenere l’operatività delle infrastrutture stesse. 

Puoi fare un esempio?
Pensa alla rete autostradale: gli automobilisti pretendono giustamente di utilizzare pienamente le infrastrutture, quindi le manutenzioni vengono fatte chiedendo tempi sempre più stretti, e che abbiano l’impatto minore rispetto all’operatività. Questo accade normalmente, è sempre stato così, ma oggi – ripeto – la pressione è diventata più forte, su tutte le infrastrutture.

Pressione “sistemica”, ma anche pressione sui singoli lavoratori?
Sì, e in particolare sui lavoratori dei livelli intermedi, riguardo al rispetto dei tempi e alla velocizzazione delle operazioni. Se tutto questo viene fatto rispettando le procedure, non succede nulla, ma questa pressione non è mai una buona amica della sicurezza e della prudenza necessarie. 

Parlavi di un secondo tema…
Le tecnologie. A Brandizzo cinque morti nella strage, ma contestualmente due morti in altri due luoghi di lavoro, lo stesso giorno. Siamo di fronte a una strage quotidiana. La politica tutta dovrebbe assumere il tema in maniera strutturata, non con dichiarazioni di cordoglio ogni volta che c’è un morto. Tra governo e opposizione dicono tutti le stesse cose, ma la consapevolezza di dover assumere questo elemento come emergenza nazionale ancora non c’è. 

E le tecnologie come possono aiutare?
Abbiamo bisogno di mettere in campo investimenti su tecnologie che proteggano i lavoratori. Queste tecnologie ci sono, ma dovremmo avere una spinta forte, quasi obbligatoria, affinché le imprese le adottino. Dobbiamo ridurre la possibilità che quelle pressioni di cui parlavo prima generino errori che poi vengono classificati come errori umani. Ma se c’è un errore umano c’è una causa, e la tecnologia potrebbe aiutarci. Però occorre appunto una spinta normativa, investimenti da parte delle imprese, un vincolo rispetto ai soldi che le imprese ricevono e a come in quella data impresa si lavora e se ci sono le tecnologie adeguate. 

Chi potrebbe contribuire a questa spinta tecnologica per la prevenzione e sicurezza?
In Italia abbiamo un istituto da questo punto di vista all'avanguardia, l’Inail, che nel suo dipartimento scientifico ha veramente una miniera di studi e ricerche. Dovremmo utilizzarla pienamente.

Il sindacato può fare di più?
I morti sul lavoro e le stragi come quella di Brandizzo interrogano anche l’organizzazione sindacale. E sulla necessità che anche noi abbiamo di portare avanti una battaglia culturale sulla sicurezza tra i lavoratori. Credo che dovremmo utilizzare il prossimo giro di assemblee che ci porteranno alla manifestazione del 7 ottobre anche per affrontare il tema della sicurezza, perché è un punto che interroga tutti, non solo governo e aziende. Ci sono cose che dobbiamo fare anche noi sul piano della cultura della sicurezza. Dobbiamo farne il fulcro di una campagna informativa dentro le imprese e tra le persone.

Nel frattempo vi siete mobilitati
Ci sono due livelli di mobilitazione. Lo sciopero nazionale del settore della manutenzione ferroviaria che si è tenuto il primo settembre, di 4 ore. Uno sciopero in segno di rispetto per quanto accaduto – quando ci sono dei morti non si può continuare a lavorare – ma che vuole aprire anche una discussione, che chiede di cambiare un modello di lavoro all’impresa, di migliorare i sistemi di sicurezza. Poi c’è in Piemonte, lunedì 4 settembre, uno sciopero di otto ore di tutti i trasporti e degli edili, con la contemporanea manifestazione unitaria a Vercelli. Nell’incontro di venerdì primo settembre con Rfi abbiamo inoltre chiesto di destinare una quota di orario di lavoro alle famiglie dei lavoratori morti, e all’azienda di contribuire. Quelle famiglie devono essere supportate da istituzioni e mondo del lavoro.

Sulla sicurezza, al di là delle parole, dal governo che segnale vi aspettate?
Mi pare che la direzione che si sta prendendo sul piano della riforma del codice degli appalti non vada nella direzione auspicata. È un tema di carattere più generale, che non c’entra con quanto accaduto a Brandizzo, ma quella del governo è una direzione che va esattamente in controtendenza rispetto a quanto ci siamo detti. Al di là delle espressioni di cordoglio, un atto utile e corretto da parte del governo sarebbe proprio quello di verificare se la riforma del codice degli appalti sia compatibile con una sicurezza maggiore, cosa che noi non crediamo assolutamente.