Accorcia di qua, accorcia di là: scuola e università per il ministro Valditara pari sono. Con una battuta - ma neanche troppo - è così che si può commentare l’ultima idea uscita dal cilindro del ministro dell’Istruzione e del merito. Secondo questa proposta ai diplomati Its si assicurerebbe, con un solo anno aggiuntivo, il conseguimento della laurea breve. La Flc Cgil, che è intervenuta con durezza su quella che allo stato attuale resta solo una “suggestione”, ha parlato di “saldi estivi”.

Scuola a quattro anni:  il governo ci riprova

Per Grazia Maria Pistorino, della segreteria nazionale del sindacato della conoscenza di corso d’Italia, il senso è chiaro: promettendo l’accorciamento del percorso universitario si cerca di incentivare ancora una volta quel percorso della filiera tecnologico-professionale che nella realtà - nonostante le costanti pressioni politiche su dirigenti scolastici e organi collegiali - è stato assai poco apprezzato dalle famiglie: solo lo 0,09% lo hanno infatti scelto per l'anno scolastico 2025/26.

Si ricorderà come il cuore di questa sperimentazione sia appunto la riduzione del percorso degli indirizzi tecnico-professionali delle superiori a 4 anni, con la possibilità di proseguire poi con i due anni di Its (Istituti tecnici superiori, percorsi di specializzazione post-diploma). Insomma, attacca la sindacalista, “si cerca di convincere ragazze e ragazzi che, iscrivendosi alla filiera, poi con un solo anno di università potranno conseguire una laurea breve. Per questo abbiamo parlato di sconto”. Per avere una laurea triennale, insomma, anziché un percorso di 8 anni (5 di superiori più 3 di università) ne basterebbe uno di sette: 4 di superiori, 2 di Its e uno di università.

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Il peso dell’autonomia universitaria

Pistorino spiega che il percorso immaginato sarà comunque difficile da realizzare: “Esiste l’autonomia universitaria e poi gli Its sono tanti e diversi, alberghiero, informatica e così via. Su quali dipartimenti universitari fai convergere questa formazione? Difficile pensare che da Roma si possano decidere in astratto questi percorsi. In ogni caso non bisogna sottovalutare questa uscita. L’intento è chiaramente politico: il tentativo disperato di far decollare la sperimentazione quadriennale della filiera che in pochissimi vogliono”.

Insomma, non c’è alcuna idea di riforma - per quanto criticabile - ma lo svilimento di percorsi diversi che trasformano la formazione in una raccolta di crediti utilizzabili senza alcuna coerenza e in fondo “solo per far prima”. D’altra parte, va ricordato come già oggi, gli Atenei, a seguito di specifiche convenzioni con gli Its, possono riconoscere, a particolari segmenti formativi, un certo numero di Cfu coerenti con i percorsi universitari, ma è cosa assai diversa da quella prospettata da Valditara, un’operazione centralistica decisa a Roma dai rispettivi ministeri.

L’istruzione piegata alle imprese

Un’operazione ideologica e coerente con l'idea che questo governo ha di un’istruzione piegata alle esigenze del momento dell’impresa: “Nei percorsi di 4 anni - ricorda la segretaria della Flc -, non solo viene ridotto il tempo scuola, ma vengono aumentate le ore di Pcto (la vecchia alternanza scuola lavoro, ndr), e pur di far partire la sperimentazione il ministero ha persino autorizzato classi con 12 alunni. E ancora: nella filiera le aziende possono entrare nella programmazione didattica, indicare direttamente ciò di cui hanno bisogno. Gli Its, poi, hanno avuto ingenti finanziamenti grazie al Pnrr, soldi che poi finiranno e si rischia una sorta di ‘bolla’”.

Una grande assente: la formazione continua

C’è poi un altro aspetto interessante da rimarcare. Parallelamente a questo disegno di mettere la formazione superiore al servizio delle imprese, attacca la dirigente sindacale, “nell’azione del governo c’è una grande assente: la formazione continua per i lavoratori e le lavoratrici all’interno delle aziende. Anziché pensare a un’impresa che fa innovazione, ricerca e appunto formazione per trasformarsi, stare sul mercato con le necessarie flessibilità con il suo personale, si chiede alla scuola di confezionare lavoratori per le esigenze del momento dei diversi territori o distretti. Tutto è spostato nel "qui e ora”. Si tratta, in sostanza, di addestramento più che di formazione, tutto a vantaggio delle imprese, e generatore di scarsissimo capitale conoscitivo per i lavoratori stessi, spendibile solo a brevissimo termine sul mercato del lavoro di un dato territorio o distretto, magari con contratti precari e mal retribuiti.

I limiti del made in Italy

Il legislatore, in sostanza, non si sta occupando di una scuola e di un’impresa rivolta al futuro. “Siamo ubriacati da questa idea del made in Italy - basti pensare all’omonimo liceo - che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali e che invece, come la questione dazi dimostra, può riscontrare diversi problemi”, conclude la dirigente della Flc.

Se questo disegno andasse in porto, si rischia di tornare a un modello duale di matrice crociana: da una parte c’è chi si iscrive ai licei e poi prosegue normalmente con l’università, dall’altra chi alla filiera tecnico-professionale e poi, dopo due anni di Its, arriva alla laurea con lo sconto. Ma il nostro Paese non ha bisogno di saldi, bensì di investimenti per migliorare la qualità della scuola e dell’università.