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A Rimini, nel corso del tradizionale meeting di Comunione e Liberazione, la scuola è stata protagonista. E non è stato un bene: anche stavolta, nelle parole del ministro Valditara e della presidente del Consiglio Meloni, se ne è parlato brandendo una clava ideologica che ha finito per stravolgere persino i numeri.
Cominciamo dai numeri. Quello di Valditara, intervenuto il 26 agosto all’evento “I giovani e la sfida della formazione”, è stato un vero e proprio show. È riuscito infatti a sostenere – immaginiamo nella sorpresa persino di un pubblico ben disposto ad ascoltarlo – che il finanziamento della scuola pubblica in Italia non sia affatto messo così male come si dice: “Penso che in rapporto al Prodotto interno lordo sia persino superiore alla Germania”.
È un’affermazione che ha dell’incredibile ed è facilmente smentibile. Per Eurostat, certo non sospettabile di tendenziosità, il nostro Paese spende in istruzione il 3,9% del Pil, peggio di noi in Europa stanno solo Romania (3,4%) e Irlanda (2,8%), mentre la media Europa è del 4,7%, con Francia e Germania che sono, rispettivamente, al 5 e al 4,5%.
Ancora peggio se raffrontiamo la spesa in istruzione non in rapporto al Pil ma alle uscite totali dello Stato: in questo caso siamo addirittura all’ultimo posto: 7,3%. La Germania è al 9,2%, la Francia all’8,8% e la media europea è al 9,6%.
L’ossessione per la filiera
Poi Valditara ha rivendicato l’importanza e il grande successo della filiera tecnologico-professionale: il famoso 4+2 di una scuola piegata alle esigenze delle imprese sul territorio, con i Pcto (quest’anno secondo l’Inail ci sono stati 2.000 incidenti) dal secondo anno e con il ciclo superiore abbreviato. Anche qui, però, i numeri sembrano un optional. Come abbiamo scritto più volte su Collettiva, questa proposta continua a essere un flop: per il prossimo anno si registrano poco più di 5 mila iscritti. Stessa sorte è toccata all’altra creatura partorita dalla medesima ideologia, cioè il liceo del made in Italy che coinvolgerà solo lo 0,09% degli alunni.
L’affondo sulle scuole paritarie
E poi la ciliegina. Valditara ha annunciato di aver chiesto al ministro dell’Economia Giorgetti, che nella prossima legge di bilancio ci siano “risorse significative” per le scuole paritarie. Peccato che quelle risorse significative già non mancano: nella scorsa finanziaria sono state infatti incrementate di 50 milioni, arrivando alla cifra record di 750 milioni di euro. Tema caro al governo, visto che il giorno successivo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha colto l’assist e ha scandito dal palco di Rimini che “non dobbiamo avere timore nel completare il percorso avviato in questi anni e trovare gli strumenti che assicurino alle famiglie, in primis alle famiglie con minori capacità economiche, di esercitare pienamente la libertà educativa sancita dalla Costituzione. L’Italia rimane l’ultima nazione in Europa senza un’effettiva parità scolastica, e io credo che sia giusto ragionare sulla questione con progressività, con buonsenso, ma soprattutto sgombrando il campo da quei pregiudizi ideologici che per troppo tempo hanno impedito di affrontare seriamente il tema”.
Un invito rispedito al mittente dalla segretaria generale della Flc Cgil Gianna Fracassi: "L'unico pregiudizio ideologico evidente e chiaro è quello contro la scuola statale e contro chi ci lavora. Dopo aver tentato di frammentarla con l'autonomia differenziata e dopo aver negato le risorse per valorizzarne il personale attraverso il contratto collettivo, ciancia di effettiva parità scolastica e di libertà educativa”.
Di qui il consiglio “di rileggere tutta la Costituzione, che non è un menù à la carte, e forse scoprirebbe che il primo obbligo per la Repubblica è di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi. È solo così che si garantisce il diritto all'istruzione per tutti e tutte e si favoriscono le pari opportunità a partire dalle fasce più fragili della popolazione".
Lo stato delle cose
La realtà è un’altra: quella di una scuola in cui per il prossimo anno si prevedono 250 mila supplenze con 130 mila posti in deroga sul sostegno e un numero di assunzioni in ruolo ancora una volta bel al di sotto del fabbisogno: 48.504 posti, dei quali 13.860 sul sostegno, mentre i posti liberi in organico sono in realtà quasi il doppio (90 mila tra docenti, educatori e Ata).
Per non parlare del diritto allo studio che con l’aumento del costo dei libri e del materiale scolastico rischia di diventare un lusso e ovviamente la totale insufficienza delle risorse stanziate per il rinnovo del contratto: ma di tutto questo a Rimini naturalmente non si è parlato.