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Prosegue a Taranto lo sciopero a oltranza dei lavoratori ex Ilva indetto da Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil e Usb. Oltre al blocco della statale 100 per Bari, in atto da ieri, stamani (mercoledì 4 dicembre) i lavoratori hanno attuato blocchi sulla statale 106 Jonica per Reggio Calabria e nell’area imprese del siderurgico. Da segnalare, i primi effetti del piano del governo: l’azienda dell’appalto Semat Sud ha annunciato la chiusura e 220 licenziamenti.
Fiom Taranto: “Unica soluzione è l’intervento pubblico”
Il messaggio chiaro che vogliamo mandare al governo è che deve immediatamente convocare un tavolo unico a Palazzo Chigi e discutere del futuro dell’ex Ilva”. A dirlo è il segretario generale Fiom Cgil Taranto Francesco Brigati: “Bisogna ritirare il ‘piano corto’, perché è un piano di chiusura”.
Brigati evidenzia che “dal primo gennaio, se questo piano verrà portato a compimento, chiuderanno altri impianti. La comunicazione che sta arrivando in queste ore da alcune aziende, come ad esempio la Semat, è che 220 lavoratori vengono licenziati a seguito di quel piano”. Per il segretario generale Fiom tarantina “l’unica soluzione per l’ex Ilva e per la siderurgia, come strategicità del nostro Paese, è solo il rilancio degli stabilimenti attraverso l’intervento pubblico”.
Cgil Puglia-Taranto: “Si annuncia catastrofe sociale”
“La dichiarazione di sciopero a oltranza è un atto di dignità e, nello stesso tempo, un grido di dolore che è dovere del governo accogliere”. A dirlo sono la segretaria generale Cgil Puglia Gigia Bucci e il segretario generale Cgil Taranto Giovanni D’Arcangelo: “I lavoratori chiedono un’assunzione di responsabilità della politica rispetto al futuro di migliaia di occupati, di un intero territorio e di un asset fondamentale qual è quello dell’acciaio per l’intero sistema produttivo italiano”.
I due dirigenti sindacali chiedono al governo di “ritirare un piano che non ha alcuna garanzia se non quella di portare alla chiusura degli impianti, convocare urgentemente un tavolo a Roma con i sindacati, accogliere le proposte che arrivano da chi conosce e vive quella fabbrica da anni”.
Per Bucci e D’Arcangelo “servono chiarezza, un vero piano industriale, capire quali investitori, se ci sono, e a che condizioni vogliono rilevare gli impianti per salvare tutti i posti di lavoro. Il governo deve togliersi il vestito del cinismo e dare una risposta concreta alle istanze dei lavoratori. Parliamo di migliaia di famiglie tra i diretti e l’indotto, e le aziende dell’indotto hanno già iniziato a licenziare. È una catastrofe sociale”.























