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Nel nuovo rapporto Immigrazione e criminalità organizzata: le strategie dei sodalizi italiani, l’Eurispes restituisce un quadro che va oltre le cifre e scava nella materialità dello sfruttamento. Le dinamiche messe in luce dagli analisti disegnano un’Italia che non è solo crocevia di rotte migratorie, ma anche terreno di coltura per un sistema criminale capillare, capace di utilizzare la vulnerabilità dei migranti come risorsa economica, forza lavoro ricattabile e territorio di controllo. Un Paese in cui la marginalità diventa, per le mafie, un capitale da accumulare.
Un sistema che inghiotte
L’Organizzazione mondiale delle migrazioni stima per il 2024 circa 281 milioni di migranti, il 3,6% della popolazione globale. Le migrazioni forzate crescono senza tregua: da 20 milioni nel 2000 a 117,3 milioni nel 2023, un salto che parla di guerre, collassi ambientali, desertificazioni lente e rapide. E, accanto ai profughi, restano centrali i migranti economici: 170 milioni di persone che si muovono per lavoro.
L’Italia è undicesimo Paese al mondo per numero di migranti internazionali. Un nodo della rete globale dei movimenti, ma anche punto di arrivo per gruppi criminali radicati e per sodalizi transnazionali che si muovono con logiche fluide, adattive, spesso invisibili.
La vulnerabilità diventa profitto
Caporalato, prostituzione, accattonaggio, sfruttamento digitale: sono i quattro assi su cui l’Eurispes individua la saldatura tra mafie e immigrazione. Un sistema che, secondo il rapporto, opera “tramite violenze, minacce e metodologie corruttive”, raffinando una forma di dominio che non mira solo a ottenere manodopera a basso costo ma a generare un ciclo economico autosufficiente.
Lo sfruttamento ha una doppia funzione strutturale. Da un lato consente alle organizzazioni di riciclare denaro tramite imprese fittizie, che prosperano proprio grazie al lavoro irregolare. Dall’altro produce profitti immediati, reinvestiti poi in settori legali e illegali, ampliando una potenza economica che si intreccia pericolosamente con l’economia ufficiale.
Il controllo fisico sui migranti – che siano braccianti, vittime della tratta, lavoratrici del sesso o soggetti costretti a cedere l’identità digitale – diventa così un ulteriore strumento per consolidare la “capillarità territoriale, sociale ed economica” delle mafie. Non solo soldi, dunque, ma potere: la capacità di esercitare sovranità su comunità intere.
Ferite sociali
L’Eurispes avverte che le pratiche di sfruttamento incrinano il tessuto sociale in più direzioni. Le comunità migranti sviluppano faide interne, legami spezzati, frammentazioni che indeboliscono qualsiasi possibilità di autodifesa. Contemporaneamente cresce “un generale senso di sfiducia nelle istituzioni”, che coinvolge non solo i migranti ma anche operatori sociali, cittadini, associazioni.
Il risultato è un paesaggio sociale più fragile, attraversato da dinamiche di esclusione, zone grigie di controllo informale, economie parallele che fagocitano spazi di legalità. In questo spazio ambiguo, i margini diventano terreno di coltura per forme nuove di dipendenza e ricatto.
La dimensione securitaria
Il rapporto descrive poi un modello in cui il crimine organizzato opera con un respiro transnazionale, usando rotte specializzate e catene di comando distribuite. Per le forze dell’ordine, questo significa un fronte più complesso: società apparentemente regolari che nascondono lavori forzati nei campi, nei cantieri, nei laboratori tessili; cooperative che fungono da schermo per reclutamenti abusivi; reti che sfruttano l’identità digitale dei migranti.
La condizione di soggezione delle vittime rende quasi impossibile la denuncia: chi parla rischia ritorsioni immediate, deportazioni informali, violenze sulle famiglie nei Paesi d’origine. La legge c’è, ma spesso resta fuori da questi spazi.
La spirale del dominio
Una delle conseguenze più drammatiche segnalate dall’Eurispes è però il rischio che le vittime, una volta inghiottite dal sistema, vengano incorporate nelle stesse organizzazioni criminali. Un passaggio che non nasce da una scelta, ma da un orizzonte chiuso: debiti imposti, ricatti, documenti sequestrati, assenza di alternative. Un fenomeno che produce una spirale di illegalità che non riguarda solo le mafie, ma l’intero contesto sociale in cui queste operano.
Le misure necessarie
Eurispes invita quindi a un cambio di paradigma. La risposta non può limitarsi alla repressione. Servono “misure strategiche integrate”: operazioni di campo, sì, ma anche interventi legislativi, percorsi di tutela effettiva, informazione rivolta ai migranti e ai cittadini, protezioni reali per chi denuncia. È indispensabile in un Paese, così come in un'Europa, il cui proprio sistema produttivo convive, e talvolta prospera, su una grossa quota di lavoro sfruttato.





























