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Mentre i governi mondiali continuano a pascolare tra vertici diplomatici e dichiarazioni di cordoglio prefabbricate, ieri la Cgil ha fatto qualcosa di storico e straordinario. Qualcosa che nessuno, finora, aveva mai osato fare. Ha fermato il lavoro per fermare il genocidio. Non uno sciopero per salari o contratti, ma contro lo sterminio in corso a Gaza. Il primo sindacato al mondo a dichiarare che nessuna ora del nostro tempo sarà complice di chi massacra e deporta civili. E in questo gesto si concentra tutta la potenza di un atto che rovescia l’ordine delle priorità, ricordando che la pace non si implora, si pratica.
Un gesto che brucia più di mille occhi umidi incipriati. Perché nella storia del movimento operaio i lavoratori hanno sempre avuto una bussola: quando la politica si arrende alla violenza, la fabbrica diventa tribunale. La serrata delle macchine, il silenzio degli uffici, il buio delle aziende, il rumore sospeso dei cantieri. Ecco il linguaggio con cui la Cgil ha parlato al mondo intero. Nessun artificio retorico, nessuna conferenza imbellettata, solo il corpo vivo del lavoro che si nega a essere complice.
Chi oggi finge sorpresa dimentica che i lavoratori hanno più memoria di qualunque ambasciata. Sanno che lo sfruttamento non finisce ai cancelli dell’azienda, ma scivola nei bunker, nei check-point, nei campi profughi. Per questo uno sciopero in Italia non riguarda solo l’Italia. È un segnale che attraversa confini e mostra che la pace non è un sogno di anime belle ma un muscolo collettivo. E per farlo funzionare bisogna fermarsi, rifiutare la normalità, trasformare la routine in resistenza.
La portata storica sta tutta qui. Non un corteo rituale, ma la messa in mora dell’ordine mondiale, pronunciata da chi ogni giorno tiene in piedi il Paese. I lavoratori che ieri hanno incrociato le braccia hanno trasformato il tempo in arma politica, hanno fatto del loro “no” un atto internazionale. Non c’è più alibi per chi pontifica di diplomazia mentre vende armi, per chi sbandiera diritti umani mentre finanzia occupazioni e bombardamenti.
La Cgil non ha semplicemente scioperato, ha spostato l’asse del mondo di un millimetro. Può sembrare poco, ma è quel millimetro che separa l’abitudine dalla rivolta, la speranza dalla complicità, la vita dalla statistica di guerra. E ora resta una semplice domanda: se il primo sindacato al mondo ha potuto fermarsi per Gaza, il governo italiano cosa aspetta a smettere di far finta di niente?