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Il 13 novembre Giorgia Meloni accoglie di nuovo a Roma l’omologo albanese Edi Rama per il primo vertice ufficiale Italia-Albania dal 2010, quando i due Paesi hanno sottoscritto la Dichiarazione di partenariato strategico. Sarà sicuramente l'occasione per rilanciare il discusso accordo sui migranti che ha da poco compiuto due anni.
Il 6 novembre 2023, infatti, Meloni e Rama firmavano il Protocollo d’intesa Italia-Albania. Il governo italiano lo presentò con squilli di tromba, come una svolta epocale sul tema migrazione, un modello innovativo per “contrastare l’immigrazione illegale” ed “esternalizzare le frontiere”. L’accordo, com'è noto, prevedeva la costruzione di strutture su territorio albanese: un hotspot a Shëngjin, un Centro di trattenimento per richiedenti asilo (Ctra), un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e persino un mini-carcere a Gjadër, con una capacità complessiva di circa 3.000 persone.
Sempre secondo Giorgia Meloni, le procedure accelerate avrebbero dovuto permettere il “processamento” di 36.000 migranti l’anno, in un sistema a rotazione mensile di 3.000 trattenuti in contemporanea. La realtà si è rivelata ben diversa: a due anni dalla firma, i centri hanno ospitato poche centinaia di persone, quasi tutte riportate in Italia dopo pochi giorni per ordine dei giudici.
Propaganda, sentenze e rinvii
Fin dall’inizio, la magistratura italiana e europea ha infatti messo in discussione la legittimità del testo. Nel 2024 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha poi stabilito che non si può considerare “sicuro” un Paese che non lo è in tutto il suo territorio o per alcune categorie di persone, come i perseguitati politici o gli omosessuali, minando così l’intero impianto normativo delle procedure accelerate.
E ancora: pochi giorni dopo l’inaugurazione del centro di Gjadër, nell'ottobre 2024, il Tribunale di Roma ha annullato i primi trattenimenti dei migranti trasferiti in Albania, definendoli privi di base legale.
Nel giugno scorso, un’ordinanza della Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte costituzionale il compito di pronunciarsi sulla legittimità del protocollo. Un accordo “non conforme alla Costituzione”, potenzialmente lesivo dei diritti fondamentali della persona e in aperto contrasto con le norme internazionali ed europee. È questa, in sintesi, la valutazione della Cassazione.
Più recentemente, il 22 ottobre 2025, a Corte d’appello di Roma ha sollevato un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, chiedendo se l’Italia potesse firmare un accordo bilaterale in materia di asilo, competenza regolata a livello comunitario. La giudice Antonella Marrone ha scritto: “ È preclusa agli Stati membri la facoltà di concludere accordi internazionali con Paesi terzi”, se questi incidono su norme dell’Unione, individuando “un effettivo conflitto” tra il Protocollo e il Sistema comune europeo d’asilo (Ceas).
Centri vuoti, trattenimenti annullati
Dopo un anno di ritardi, il 14 ottobre 2024 la prima nave partiva dal Sud di Lampedusa verso l’Albania. Da allora, i numeri registrati sono stati irrisori: secondo ActionAid e Università di Bari, nel 2024 solo 20 richiedenti asilo sono stati deportati in Albania. Tutti, tranne due minori e due persone vulnerabili, tra l'altro, sono stati riportati in Italia dopo la mancata convalida dei trattenimenti.
Nel 2025, invece, tra aprile e ottobre, i migranti transitati per Gjadër sono 219. E circa il 70% dei trattenimenti non è stato convalidato dai giudici italiani. Anche in questi casi, i migranti sono stati rimpatriati in Italia. Solo cinque persone sono state rimandate direttamente nei Paesi d’origine. A ottobre 2025, nel Cpr di Gjadër restavano 25 persone, mentre il centro di Shëngjin risultava ancora chiuso.
I numeri parlano da soli, e sono impietosi. Gjadër, costruito per 880 posti nel Ctra e 144 nel Cpr, non ha mai superato una media di 20 presenze giornaliere. La proporzione tra mezzi impiegati e risultati ottenuti è evidentemente disarmante. Come rilevato dal Tavolo Asilo e Immigrazione, la macchina amministrativa messa in piedi da governo italiano, “ha prodotto soltanto un ping-pong burocratico di deportazioni e rientri, in violazione delle direttive europee e della giurisprudenza Cedu”.
I costi del fallimento
L’investimento complessivo stimato dal governo con la legge 14/2024 ammonta a oltre 650 milioni di euro in cinque anni. Solo nel 2025 erano previsti 127,5 milioni di spesa.
Secondo ActionAid, fino a marzo 2025 sono stati sottoscritti contratti per 74,2 milioni di euro solo per la costruzione e l’allestimento dei centri.
La gestione è stata affidata alla cooperativa Medihospes, gigante dell’accoglienza romana, con un appalto da 133 milioni in due anni. Ma, come ricorda Altraeconomia, a quasi 500 giorni dall’aggiudicazione della commessa non è stato ancora firmato il contratto con la prefettura di Roma e gli impegni restano solo sulla carta. Sempre Altraeconomia fa però sapere che nel 2024, con appena 5 giorni di effettiva operatività, la stessa cooperativa ha ricevuto 570.000 euro: circa 114.000 euro al giorno per venti persone.
Nella Manovra 2026, nonostante il fallimento, il Ministero dell’Interno ha confermato 71,4 milioni di euro di stanziamenti triennali (2026-2028), di cui 29,7 milioni nel solo 2026, destinati al mantenimento dei centri e al rimborso delle spese albanesi. ActionAid ha presentato un esposto alla Corte dei conti, segnalando “gravi violazioni delle norme sulla gestione delle risorse pubbliche”.
Diritti violati
Ma il fallimento del Protocollo Italia-Albania, non sta solo nei numeri. Le missioni di monitoraggio condotte dal Tavolo asilo e immigrazione e dai parlamentari Rachele Scarpa, Matteo Orfini e Riccardo Magi hanno documentato un quadro allarmante: uso diffuso di psicofarmaci come strumento di sedazione, episodi di autolesionismo, scioperi della fame e tentativi di suicidio, oltre alla mancanza di trasparenza nei trasferimenti.
Nel luglio scorso ha visto la luce il report “Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania”, realizzato dal Tavolo asilo e immigrazione in collaborazione con il Gruppo di contatto del Parlamento italiano e di quello europeo. Dal testo risulta evidente come le misure coercitive siano adottate in modo arbitrario e in violazione di ogni norma, così come evidente è la condizione sistemica di marginalizzazione che rende i migranti detenuti “invisibili, silenziosi e passivi, contribuendo a una disumanizzazione istituzionalizzata più estrema rispetto ai Cpr sul territorio italiano”.
Un monumento alla propaganda
Nonostante la sequenza di sentenze contrarie, i costi insostenibili e le evidenti violazioni dei più basilari diritti dei detenuti, il governo insiste nel difendere l’accordo. Il 13 novembre, quindi, a Roma, Meloni e Rama firmeranno nuovi protocolli di cooperazione, compreso il rinnovo del progetto migratorio.
L’esecutivo punta a legittimare i centri di Gjadër e Shëngjin nel quadro del Patto Ue su migrazione e asilo, in vigore da giugno 2026, che prevede la possibilità di “return hubs” nei Paesi terzi. Ma la Corte d’appello di Roma ha già chiarito che “gravi violazioni del diritto comunitario resteranno comunque in piedi”.
In un contesto di bilanci pubblici ridotti al lumicino e di diritti umani violati, come scrive il Tavolo Asilo, il Protocollo Italia-Albania resta “un monumento all’inutilità e al cinismo di una politica che deporta le persone per nascondere il proprio fallimento”. E un caso emblematico di propaganda trasformata in disastro amministrativo.






























