“Il centro di trattenimento di Gjadër è un luogo inquietante, non tanto per le condizioni igieniche e strutturali dei suoi spazi, perché è un edificio costruito da pochissimo, quindi è nuovo di zecca. Ma è inquietante in sé. Perché è un un complesso di sbarre, di recinzioni, di grate. Quel posto ha turbato me, che sono entrato e uscito dopo qualche ora. Posso solo immaginare che effetto possa fare alle persone trattenute al suo interno. Molte di loro hanno utilizzato la metafora della gabbia per descriverlo, qualcuno mi ha detto che si sentiva rinchiuso in un canile.”

Francesco Ferri, è un esperto di migrazione di ActionAid, organizzazione che aderisce al Tavolo asilo e immigrazione, ed è appena rientrato dalla sua quarta missione in Albania. Faceva parte della delegazione che stava visitando il centro proprio mentre la Camera dava il primo via libera alla conversione del decreto legge 37/2025, che ha permesso lo spostamento oltre-Adriatico di migranti già trattenuti nei centri di permanenza italiani e destinatari di un provvedimento di espulsione.

Con l’approvazione del “decreto Albania”, che verrà convertito definitivamente in legge dopo il passaggio al Senato, il Parlamento italiano ha quindi legittimato il cosiddetto “metodo albanese”, il sistema di confinamento extraterritoriale dei migranti. Un metodo che, come dimostrano i riscontri raccolti dal monitoraggio effettuato proprio dal Tavolo asilo, è “opaco, privo di garanzie e incompatibile con i principi dello Stato di diritto”.

Un buco nero

“Abbiamo avuto la possibilità di ascoltare diversi migranti trattenuti, persone che hanno situazioni molto diverse tra di loro - ci racconta Ferri -. Alcune erano in Italia già da molto tempo, qualcuno anche da 20 anni. Gente che ha ancora moglie e figli qui. Altri invece erano sbarcati da poco”. In realtà nessuno, al di fuori delle autorità italiane, sa chi e quanti siano realmente i trattenuti a Gjadër. Né chi sia stato già riportato in Italia. A mancare, insomma, sono i dati basilari. E poi, continua Ferri, “non abbiamo nessuna informazione sul motivo per cui proprio quelle persone siano state trasferite. Nel senso che non c'è un'informazione pubblica sui criteri utilizzati dalle autorità per 'selezionare' chi verrà portato a Giader”. Una sospensione della legalità, quindi, oltre che una violazione dei diritti fondamentali. “Per noi è molto grave che alcune persone possano essere spostate come pacchi da un posto all'altro, tra l'altro sottoposte a gravi violazioni di diritti. Il tutto senza che ci sia nessuna evidenza pubblica della ragione, dei criteri o della procedura per cui queste persone sono state trasferite”.

Non c'è alcun provvedimento individuale emanato da un'autorità, quindi nessun documento eventualmente contestabile, se ritenuto illegittimo.

Coercizione senza motivo

A completare il quadro ci sono i mezzi di coercizione utilizzati durante il trasferimento. Nella precedente missione in Albania, l'11 aprile scorso, Ferri è stato testimone di quella che definisce una “scena agghiacciante”. “Eravamo nel porto di Shengjin, e i migranti sono stati sbarcati dalla nave militare italiana con i polsi legati, senza che ci fosse, per stessa ammissione delle autorità, un'esigenza specifica particolare. E senza che ci fossero stati problemi o rischi durante il trasporto. Era una misura coercitiva preventiva assolutamente abnorme. Ebbene, nell'ultima missione, le persone con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato che le fascette sono state usate ugualmente  durante il viaggio, ma sono state tolte un attimo prima dello sbarco. Stavolta hanno voluto evitare di ripetere quella scena che ha inquietato chiunque l'avesse guardata, e che aveva fatto molto rumore. Ma la coercizione rimane”

Ci sono poi problemi legati all'assistenza legale. Molti dei migranti di Gjadër avevano già un avvocato in precedenza, perché erano già trattenuti nei cpr italiani. Alcuni hanno deciso di cambiarlo dopo l'arrivo in Albania. Ma spesso si tratta di un'assistenza solo formale.

Chiediamoci che tipo di assistenza legale ci possa essere a distanza, sviluppata solo attraverso il telefono, con tutte le difficoltà della mediazione linguistica e culturale. Alcuni ci hanno raccontato di non aver mai parlato con il loro avvocato, nonostante fossero passati molti giorni dal loro arrivo.

La spada di Damocle

Forse servono altri strumenti, non quelli della legge, per valutare l'avventura albanese del governo Meloni. “Perché dal punto di vista del diritto e non c'è nessuna ragione - argomenta ancora Ferri -. Anche nell'ottica di aumentare i rimpatri, il trasferimento oltreconfine non sposta nulla. Se queste persone devono essere rimpatriate, potrebbero essere espulse anche dall'Italia. Invece qui si è deciso di mettere in atto una doppia punizione, al di fuori dei contorni della legge. Il governo racconta che vuole portare in Albania coloro che hanno commesso crimini di un certo tipo. Ma non è vero, perché a Gjadër c’è anche chi non ha nessun tipo di precedente penale”.

E se anche fosse vero quello che dice il governo, è molto pericoloso che si ritenga di sottoporre qualcuno a una punizione non contemplata dalla legge, e per farlo si crei al di fuori dei propri confini una colonia penale non normata.

“Oggi - conclude Francesco Ferri - tutte le persone straniere che vivono in Italia sostanzialmente rischiano di finire in Albania, perché sono vincolate al rinnovo del permesso di soggiorno. A causa di una legge sulla cittadinanza molto vecchia e molto selettiva, anche una persona che abita da decenni nel nostro Paese, e che magari qui ha costruito la sua intera vita, se perde il posto di lavoro ed è impossibilitato a rinnovare il permesso, potrebbe finire rinchiuso a Gjadër”.
Prigioniero in una colonia penale senza legge, che secondo qualcuno assomiglia un po' troppo a un canile.

La testimonianza di Francesco Ferri