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“Capita così a certi scrittori: che finché sono vivi si fa fatica stare loro accanto, e da morti tutti li pensano”. Tratte dalla bella postfazione di Vanessa Roghi al volume, questa parole si adattano alla perfezione per raccontare la storia e l’alterna fortuna di Luciano Bianciardi, tra gli scrittori più importanti del nostro Novecento non soltanto grazie al suo riconosciuto capolavoro, La vita agra, libro che sancisce la possibilità di coniugare la letteratura italiana con la descrizione del mondo del lavoro e dei lavoratori.
In questa biografia dal titolo Vita da Bianciardi. Scrittore e uomo libero (pp. 79, euro 12), curata da Pierluigi Barberio e arricchita dalle illustrazioni di Marco Petrella, emerge infatti non soltanto la personalità eclettica del personaggio ma anche l’originalità di ogni sua scrittura, che comprende narrativa di assoluto rilievo, e riflessioni più o meno sparse intorno a vari temi che ci riguardano, dalla condizione della scuola italiana di allora (e di ora) al valore della libertà, individuale e collettiva. Abbiamo rivolto alcune domande al professor Barberio.
In questa biografia atipica di Luciano Bianciardi, sin dal titolo si insiste sul significato e il concetto di libertà secondo lo scrittore. Perché?
In effetti è così. Ho voluto sottolineare “uomo libero” sin dal titolo (di solito appannaggio delle case editrici) per il valore della libertà insito in sé, oggi importante più che mai. Questo perché vorrei che il libro parlasse in particolare alle giovani generazioni, per statuto ribelli, nell’età di una ribellione fisiologica. Nella sua vita Bianciardi ha scritto molto anche di questo, l’ho scoperto leggendo negli anni i suoi scritti legati non solo alla “trilogia della rabbia” (Il lavoro culturale, L’integrazione, La vita agra), ma anche attraverso alcuni articoli di riviste per cui curava la corrispondenza proprio con giovani lettori, dove discuteva di libertà e rivoluzione, attento a maneggiare con loro argomenti ritenuti delicati.
Un lato del Bianciardi-scrittore poco conosciuto, in linea con la sua anima combattiva.
Bianciardi era nemico di slogan e retorica, e intendeva il concetto di libertà quale esercizio critico, o meglio della critica, nei confronti di una società che non ci piace, come la Milano dove viveva. Non amava chi contestava con parole vuote, attraverso espressioni cristallizzate: per lui si doveva sempre stare attenti al linguaggio. La libertà, dunque, è intesa come consapevolezza, soprattutto da parte dei giovani, di criticare e contestare ciò che non va con cognizione di causa.
Cosa significa invece per Bianciardi il lavoro?
È legato al concetto di cultura, parola-totem. Proprio ne Il lavoro culturale scrive cosa vogliano dire lavoro e cultura per un ragazzo come era stato lui, da Grosseto arrivato a Foggia incontrare l’esperienza militare e i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, durante gli anni del fascismo. Da qui parte la sua idea di dover ricominciare tutto daccapo, “noi giovani sopravvissuti a tutto questo”. E si doveva ricostruire su basi nuove, sulle macerie del fascismo e della guerra. Un discorso che per me vale anche oggi.
Anche oggi?
Sì, perché anche oggi abbiamo tante guerre, magari non proprio dentro casa nostra, ma si tratta comunque di ricostruire sulle macerie anche oggi partendo dalle basi, che per me ruotano attorno all’idea di solidarietà e fratellanza.
Torniamo al lavoro.
Tema decisivo, dicevamo, e lo mostra anche quanto incise nella sua vicenda biografica la strage di Ribolla, troppo dimenticata e che causò 43 morti, molti dei quali amici e conoscenti dello stesso Bianciardi. Poi c’è il rapporto “bibliotecario” con Grosseto, il famoso progetto Bibliobus per portare libri a minatori e contadini con l’intenzione di dar loro l’opportunità di costruire una propria autonomia e, ancora una volta, la loro libertà.
Una parola che ritorna…
Inevitabile, perché la libertà per uno come Bianciardi vuol dire anche non accettare il compromesso, chiedendosi al contempo quale sia il grado di compromesso che siamo disposti ad accettare nello scorrere delle nostre vite: quanto sei disposto a negoziare, a vendere le tue idee, i tuoi principi, per qualcos’altro? Queste riflessioni, più o meno dirette, sono ricorrenti nell’opera di Bianciardi a partire dalla più famosa, La vita agra.
Libro che lo ha consegnato alla storia della letteratura italiana.
Sì, ebbe molto successo; un successo che però non modificò il suo modo di pensare, come ad esempio dimostra il suo rifiuto di essere cooptato dal “nemico”, nel caso rappresentato dal “Corriere della Sera”, che gli propose un lauto contratto di collaborazione grazie all’intercessione di Indro Montanelli, recensore ed estimatore de La vita agra. Ma anche in questo caso Bianciardi ribadì che “l’uomo libero sa dire no”.
“Vita da Bianciardi” inizia però riportando una citazione dello scrittore che riguarda il mondo della scuola. Come mai questa scelta?
Beh, diciamo che da insegnante mi hanno sempre interessato le parole di Bianciardi sulla scuola, a partire proprio dall’etimologia di skolé (σχολή), che nel greco antico vuol dire “tempo dedicato alle piacevoli occupazioni”, oltre che a sé stessi. Ma Bianciardi parla anche di voti e valutazioni, definendoli simboli di una scuola attaccata a dei feticci. Quello che conta per lui invece è il percorso di valutazione, i voti vengono fuori dopo, nel rispetto dei ruoli. Una posizione che da docente mi trova del tutto d’accordo.
Anche questi soni temi più che mai attuali.
Assolutamente, soprattutto quando Bianciardi scrive che dobbiamo imparare da tutti, dobbiamo e possiamo imparare da tutti, compresi noi insegnanti, che siamo anche educatori; ma chi sa di più più condivide, e apprende dagli studenti stessi, traendo da loro energie e freschezza, perché sono loro che ci costringono a non rassegnarci a una vita adulta fatta, per l’appunto, di routine e compromessi. Gli studenti ci incalzano e ci chiedono indirettamente quanto siamo liberi noi adulti, e se a quello che dici riesci a far seguire quello che fai.
Quanto è riuscito Bianciardi in questo, a conciliare la teoria con i fatti?
Bianciardi è stato esemplare, e anche per questo la sua non è una biografia classica, ma una vita che ci ricorda di scegliere su certe questioni fondamentali, perché non possiamo essere indifferenti, né ignavi. Perché ogni scelta, anche sbagliata, comporta una conseguenza. A volte ci vuole coraggio anche per tornare sui propri passi.