Alla fine il Leone d’oro è andato a Jim Jarmusch per Father Mother Sister Brother. Il grande film sulla bimba morta a Gaza, The Voice of Hind Rajab, vince il secondo premio: il Gran Premio della giuria, che equivale al Leone d’argento ed è comunque molto importante. Non è il massimo riconoscimento, ma di certo aiuterà il titolo a diffondersi ulteriormente. Quanto a Jarmusch, è un maestro conclamato, l’opera è molto forte e non sembra contestabile.

Il Premio speciale della Giuria va a Gianfranco Rosi per Sotto le nuvole, il documentario su Napoli, le sue persone e anche i suoi lavoratori e lavoratrici. Paolo Servillo ha vinto la Coppi Volpi come migliore attore per La Grazia di Paolo Sorrentino. La migliore attrice è Xin Zhilei per il cinese in concorso, il melodramma The sun rises on us all.

LA RICOSTRUZIONE CON LA VOCE VERA

Il film della regista tunisina Kaouther Ben Hania, The Voice of Hind Rajab, è costruito attorno alla bimba palestinese del titolo, uccisa dall’esercito israeliano. Il meccanismo cinematografico è estremo e particolare: gli attori rimettono in scena la “stanza dei soccorsi”, ma la voce registrata è quella della vera Hind Rajab, sentiamo la piccola che chiede aiuto e implora di essere salvata. Seppure la ricostruzione sia di finzione, quindi, l’audio autentico crea un cortocircuito straziante. Non solo sentiamo la bimba, ma vediamo anche i tormenti interiori dei soccorritori, i quali non possono arrivare a recuperare un’automobile a dieci minuti di distanza, senza protocollo di sicurezza, perché sanno che perderanno altri operatori sanitari già decimati dagli israeliani.

Alla fine interviene il documentario “puro”, ossia guardiamo la vera auto crivellata dei colpi e l’estrazione dei corpi, anzi ciò che resta, posti in fuori fuoco. Insomma, Hind Rajab ha commosso tutti fin dalla prima proiezione e si è capito che avrebbe avuto un premio importante. Film forte e insopportabile, durissima denuncia contro il Governo israeliano che uccide senza pietà, arriverà nelle sale italiane e vedremo quale sarà la risposta del grande pubblico.

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UN GRIDO PER LA PALESTINA

È stato il festival della Palestina, non solo per Hind Rajab. L’edizione è stata segnata dalla grande manifestazione per il popolo palestinese che è andata in onda al Lido, con migliaia e migliaia di persone, che hanno sfilato per il Gran Viale e sono arrivati nei pressi delle sale. Un gesto politico che non si vedeva da decenni, tanto che molti hanno rievocato le manifestazioni del maggio 1968 che interrompevano il Festival di Cannes, con l’appoggio importante anche dei registi come Jean-Luc Godard. Il movimento Venice4Palestine ha ottenuto il suo risultato, lanciando un grido d’allarme e tenendo alta l’attenzione per tutta la kermesse. La tragedia di Hind Rajab, ovviamente, ha contribuito alla mobilitazione.

IL FILM SUI MORTI SUL LAVORO, CONTRO LA RETORICA

Ma c’è un’altra Spoon River, che non si consuma nella Striscia di Gaza ma ogni giorno nelle nostre città: quella dei morti sul lavoro. Lo ha raccontato il film Articolo 1 di Luca Bianchini, presentato nella sezione Giornate degli Autori. Partendo dal libro Operaicidio di Patucchi e Giordano, l’autore costruisce un documentario di 53 minuti con una premessa, dalla prima scena: l’intento è uscire dalla retorica della politica e delle istituzioni intorno alle morti sul lavoro e riportare l’attenzione sulle persone. Perché, sostengono gli autori, cos’è una morte sul luogo di lavoro si può capire solo offrendo il microfono alle persone coinvolte.

Ecco allora una donna che racconta la morte del marito, che ha lasciato due figli piccoli, oppure una signora vittima di infortunio che l’ha resa disabile, ma non meno combattiva: “Ho riorganizzato la mia vita e oggi mi sento bellissima”, dice. Un atto umano per uscire dal luogo comune e dalle parole vuote sugli incidenti, per tornare ai volti e corpi delle vittime.

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L’INFERNO DEI LAVORETTI IN AT WORK

Il principale film di finzione sul lavoro è At Work di Valerie Donzelli. La francese porta sullo schermo la parabola di un noto fotografo, che rinuncia a tutto per coronare il suo sogno di fare lo scrittore; inizia così una “decrescita infelice”, diventa sempre più povero e apre una riflessione sul lavoro culturale. Nel mondo di oggi lo scrittore è ancora un mestiere? Evidentemente no, tanto che il protagonista è costretto a una serie di “lavoretti”, trovati su un app in cui gli stessi lavoratori offrono servizi al ribasso, in una vera e proprio asta al contrario (esempio: quanto offrite per tagliare un prato? 15 euro. No, 12! E così via). La stortura del mercato porta alla precarietà più disperata e assoluta, che culmina nella battuta di Bastien Bouillon amara e memorabile: “La mattina scrivo. Il pomeriggio lavoro”. 

IL CANTO DELLA NATURA DI ILDIKO ENYEDI

Sempre nelle Giornate degli Autori, abbiamo già parlato di un bel film su un altro tema decisivo, la condizione degli anziani e il loro ruolo nella società: Come ti muovi, sbagli di Gianni Di Gregorio, commedia acuta e intelligente che – come spesso accade – col sorriso dice cose serie. Così come delle donne al Festival, a cui si è aggiunta in coda al concorso una regista importante: l’ungherese Ildilko Enyedi, che ha convinto tutti portando in concorso Silent Friend.

Il protagonista silenzioso è un maestoso ginko biloba piantato nell’Ottocento, nel giardino botanico di un’università: alla sua ombra sbocciano tre storie in tre epoche diverse, che riflettono sul rapporto tra uomo e Natura, su cosa è umano e cosa no, sulla vera essenza dei vegetali. Le piante ci guardano? Il segmento più affascinante è quello dedicato a una ragazza, la prima donna ad essere ammessa all’università nel 1901, che sfida i pregiudizi e nella memorabile scena dell’interrogazione sfida l’ottusità dei professori maschi. Una vera sequenza femminista.

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GLI ALTRI PREMI

Oltre a quelli ufficiali del festival, sono tanti i premi collaterali. Il premio Bookciak, Azione ha proposto un palmares internazionale all’insegna di Sepideh Farsi, regista della diaspora iraniana che era presidente onoraria della giuria. Nella sezione Memory Ciak, realizzata con LiberEtà, Spi Cgil, Premio Zavattini e Aamod, il riconoscimento è andato al corto Tentativi di analisi di Pietro Bonaccio tratto da La seconda vita di Astolfo Barchiera di Lorenzo Chiabrera.

Il Leoncino d’oro, tradizionale premio degli studenti e giovanissimi, è andato a The Voice di Hind Rajab, che ha commosso anche loro. Il Queer Lion lo ha vinto il messicano En el camino di David Pablos, che diventa per quest’anno il simbolo del cinema LGBTQ+ in continua espansione.

UN FESTIVAL FORTE COL CUORE A GAZA

Insomma è stato un bel festival: mai, come quest’anno, puntato sul presente e col cuore nella Striscia di Gaza. Alla domanda che spesso si fa, a cosa servono i festival, ecco allora una possibile risposta: ad accendere i riflettori su una tragedia inaccettabile nel mondo. Ma è anche giusto e opportuno, dall’altra parte, che resti un festival di cinema e dia spazio a tutti i registi e le registe coi loro sguardi, idee, proposte per leggere il presente.

Speriamo che l’anno prossimo il genocidio palestinese sia stato fermato e non ci siano altre Hind Rajab, lasciando lei come simbolo a futura memoria.

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