Una figura del tutto particolare nel nostro cinema, Gianni Di Gregorio. Il regista romano, oggi 76 anni, ha fatto il suo primo film praticamente a sessant’anni: Pranzo di ferragosto, piccolo fenomeno del 2008. Da quel momento ha sempre raccontato e messo in scena i problemi e i nodi di una stagione della vita, la terza età, quella che d’altronde lui stesso ha iniziato ad attraversare. E non sono molti quelli che trattano il tema degli anziani e delle anziane, forse addirittura nessuno.

L’autore ha fatto un po’ tutto il giro, nel senso che ha saputo affrontare varie tematiche che si presentano quando non si è più giovani, ma neanche “vecchi”, per esempio il rapporto con le donne in Gianni e le donne con l’ipotesi di una relazione in età matura. E non ha temuto di affrontare del lavoro: in Buoni a nulla del 2014, ormai un piccolo classico, in cui interpretava un lavoratore in attesa della pensione che veniva però posticipata per una certa “riforma” (era la Fornero…), costringendo l’impiegato pubblico a continuare, suo malgrado, magari all’infinito.

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LA MATURITA’ E L’ABITUDINE

Ecco perché è significativo il ritorno di Gianni Di Gregorio col nuovo film, presentato al Lido di Venezia nella sezione Giornate degli autori, dal titolo già emblematico: Come ti muovi, sbagli. Si parte qui, un detto popolare, un luogo comune, una frase fatta che spesso le generazioni più anziane ripetono al bar, mentre sorseggiano un caffè o un bicchiere di vino bianco con gli amici. Esattamente ciò che accade al protagonista, che è lo stesso di Gregorio e ha i suoi anni: professore in pensione, vive solo e conduce un’esistenza cucita sui suoi spazi, piena di libri e di cultura ma anche lenta, come si addice all’età, non più scattante seppure intelligente, con tappa fissa al bar siciliano sotto casa. D’altronde, per usare un altro stereotipo, gli anziani sono abitudinari.

Ogni cambiamento provoca un piccolo prurito: ecco perché, forse, Gianni non asseconda la bella signora che lo invita in campagna, Iaia Forte, e racconta spesso il cimento di scrivere un saggio sui longobardi, mai portato a termine. La routine ferrea cambia quando irrompe a casa sua la figlia con i due nipotini, incarnata in Greta Scarano. La ragazza, emigrata in Germania, è stata tradita dal marito e lo ha lasciato, ritrovandosi sola con la prole, non può fare altro che rivolgersi al padre anche se non si vedono mai.

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IL WELFARE DEI NONNI

Qui si innesta il tema del welfare famigliare. Una ragazza sola con figli, nell’Italia del 2025, cosa può fare? C’è un’unica possibilità, rivolgersi ai nonni. Anche se questi sono o troppo anziani per affrontare un bambino molto irrequieto e la sorella grande. “Lo so che sei inadeguato papà, ma non ho nessun altro”, rileva crudelmente la figlia. Ed ecco che mentre la donna cerca un nuovo lavoro, Gianni deve tenere i nipotini sforzandosi di giocare a pallone, con risultati disastrosi, oppure leggendo classici in lingua arcaica come fiaba della buonanotte, in una sequenza esilarante. Prova a cucinare ma non è capace, cerca di tenere testa ai giovanissimi ma presto si rivela impossibile… Andrà a sfogarsi con gli amici al bar, a colpi di luoghi comuni: “È la famiglia che ti frega”, e l’immancabile “Come ti muovi, sbagli”.

Gianni Di Gregorio sceglie il registro comico, per raccontare la terza età e le famiglie che si affidano ai nonni, ma attenzione: il tema è molto serio. Una leggerezza problematica, quella proposta dal film, perché di fatto il ruolo degli anziani, il loro peso nella famiglia e nella società, è un grande nodo del nostro Paese. Ovviamente ogni nonno finisce per sorridere e accogliere con amore i nipotini, o quasi, ma è giusto che un ottantenne sostenga l’energia di un bambino di dieci anni? C’è anche il rovescio della medaglia, perché l’invecchiamento attivo resta essenziale nella rete sociale e gli anziani e anziane vanno considerati sempre più una risorsa.

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INVECCHIANDO SI MIGLIORA

Del resto lo dimostra Di Gregorio col suo lavoro di regista: “La verità è che non si soffre di più invecchiando, come troppi pensano e dicono, ma di meno - ha spiegato -. Si sanno dire più cose e capire meglio altre, sei più libero e hai meno remore: questo artisticamente funziona. Raggiungi un senso di pacificazione con gli altri e con te stesso, un meccanismo che nella maturità dai bei risultati”.

A parlare è ancora il cineasta: “Questo film è dedicato alla famiglia e dunque all’amore, questa forza che ci fa fare cose che non avremmo mai creduto di poter fare, rendendoci allo stesso tempo formichine al lavoro ma anche eroine ed eroi epici”.

Insomma un film profondo e potente, dal tema inusuale, che si ritaglia uno spazio in questa Mostra. Non è un nome altisonante come Sorrentino o Guadagnino, infatti non corre in competizione per il Leone d’oro, ma a volte forse bisogna volgere lo sguardo dall’altra parte, lontano dai lustrini, per intravedere le cose davvero importanti. E un cinema che parla di anziani oggi suona fondamentale. Arriva anche nelle sale dal 5 settembre, non perdetelo.

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