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Pericolo scampato, almeno per il momento. Il Parlamento europeo ha rigettato la proposta di direttiva che avrebbe stravolto due provvedimenti comunitari sulla rendicontazione di sostenibilità (2022/2464) e il dovere di diligenza (due diligence, 2024/1760) nel campo dei diritti umani e della protezione dell’ambiente.
Un testo che è stato respinto ma che non ferma in maniera definitiva gli attacchi ai pilastri normativi delle politiche comunitarie in materia sociale, di sostenibilità e del lavoro. E tutto in nome di che cosa? In nome di una competitività senza regole e al massimo ribasso.
Smontare pezzo pezzo
La strada che si sta cercando di percorrere è semplice: smontare pezzo pezzo, passo passo, le regole che come cittadini comunitari ci siamo dati su questi temi, con una deregulation che indebolisce gli obblighi di sostenibilità e rendicontazione delle imprese, crea incertezza nei mercati e mette a repentaglio gli investimenti compiuti dalle aziende più attente allo sviluppo sostenibile.
Diritti e ambiente
In discussione, però, non c’è solo la semplificazione burocratica. Ci sono la tutela dei lavoratori nelle filiere globali e l’impegno di mitigare gli impatti sull'ambiente delle produzioni soprattutto dal punto di vista delle attività climalteranti. E per l’Italia, dove il tessuto produttivo è composto in gran parte da piccole e medie imprese, il rischio è di perdere importanti garanzie derivanti dal dovere di diligenza dei grandi committenti sui diritti umani e sulla protezione dell'ambiente.
Pericolo deregolamentazione
“La bocciatura della proposta di direttiva (la 2025/81 così come emendata dalla commissione Juri, ndr) rappresenta uno stop importante a una deriva pericolosa di deregolamentazione – afferma in una nota la Cgil, soddisfatta per il voto negativo –. La Commissione europea, sotto la spinta dei gruppi politici di destra ed estrema destra, sta cercando di smantellare il diritto comunitario in materia sociale, di sostenibilità e del lavoro. È inaccettabile che i diritti fondamentali dei lavoratori, così come quelli ambientali e sociali, vengano considerati come ostacoli o pesi amministrativi da eliminare. Continueremo a opporci contro questa deriva insieme alla Confederazione europea dei sindacati”.
Rischi dietro l’angolo
I rischi della proposta direttiva erano stati segnalati in una lettera inviata agli europarlamentari, firmata dal segretario confederale Cgil Christian Ferrari: “Gli aspetti di questo testo per noi maggiormente preoccupanti sono costituiti dalla restrizione dell’ambito di applicazione, dalla sottovalutazione dei dati sulla catena di subfornitura e dall’alleggerimento degli obblighi per le imprese extra-europee”.
E infatti il tentativo era stato diminuire il numero delle aziende europee ed extra Ue soggette all’obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità: le imprese, le banche e le assicurazioni con oltre mille dipendenti e un fatturato netto di 450 milioni di euro.
Il testo inoltre annacquava i contenuti delle informazioni di sostenibilità per le aziende extra-europee, con il pretesto che alcuni Paesi non hanno la stessa legislazione della Ue e peggiorava ancora di più i contenuti della direttiva comunitaria 2464/1760 sul dovere di diligenza (due diligence) delle imprese nel campo dei diritti umani e della protezione dell’ambiente.
Sanzioni irrisorie
Le modifiche comprendevano la restrizione dell’ambito di applicazione, una frammentazione legislativa a livello nazionale e la riduzione delle sanzioni a cifre irrisorie. Tra gli aspetti più allarmanti, anche la previsione di una semplice temporanea sospensione dei rapporti commerciali fra l’impresa committente e il fornitore che non abbia rispettato i diritti umani e del lavoro o che abbia arrecato danni all’ambiente, anche nei casi più gravi.
“Dopo il voto, la plenaria del parlamento europeo riprenderà la discussione sul documento, con la presentazione di nuovi emendamenti – conclude la Cgil nella nota –. Seguiremo con attenzione gli sviluppi futuri, continuando a fornire il nostro apporto”.