Trump impone dazi del 30% sull’Europa e da Palazzo Chigi non vola neanche una zanzara. Nessun post, nemmeno un colpo di tosse. La premier, sempre pronta ad azzannare un convegno sul linguaggio inclusivo, stavolta sceglie il silenzio di una nota stringata. Di fronte a una mazzata che colpisce in pieno il made in Italy, Meloni adotta la linea dell’invisibilità. Strategia raffinata: non disturbare il padrone mentre fa razzia.

Non è cautela, è subordinazione affettiva. Donald è il fratello maggiore che ti ruba la merenda, ti svuota la cartella e poi ti spiega che lo fa per il tuo bene. Giorgia incassa, muta. Niente slanci patriottici, nessuna fiammata tricolore. Se a colpirci è l’eroe della destra globale, allora l’orgoglio nazionale si mette in pausa. Ibernato fino al prossimo voto.

Ma vaglielo a dire a chi lavora nei campi, nelle vigne, nei caseifici e nelle acciaierie che ora verrà scaraventato nel burrone economico. Il governo dei patrioti si rivela esecutivo degli spettatori. Il copione è scolpito ed arcinoto: tacere, restare fermi, fare finta di nulla. Lo zio d’America sferra il colpo. L’amica italiana contempla l’orizzonte. È il nuovo triangolo delle Bermuda: diplomazia, sottomissione e superstizione.

Aveva promesso una nazione che rialza la testa. Promessa mantenuta: l’abbiamo sollevata giusto in tempo per prendere il ceffone. Il sovranismo si è smascherato per ciò che è sempre stato, una posa muscolare che si trasforma in inchino non appena arriva un segnale da Washington. La destra fiera e identitaria si comporta come un barboncino che aspetta il biscotto davanti alla Casa Bianca.

La nostra economia immolata con devozione sull’altare della fedeltà atlantica. Dall’altra parte dell’oceano si abbattono colpi a raffica, qui si resta immobili. Solo un’attesa grottesca, come se ci volesse ancora il via libera per articolare una frase compiuta. Con soggetto, verbo e un residuo di dignità.