Federico Aldrovandi ha diciotto anni quando il 25 settembre del 2005 muoreaFerrara dopo una violenta colluttazione con quattro agenti di polizia. La famiglia viene avvertita verso le 11 del mattino, quando sono ormai trascorse quasi cinque ore dal decesso del ragazzo che presenta sul corpo 54 lesioni ed ecchimosi.

Nel 2009 quattro poliziotti - Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri - vengono condannati a tre anni e mezzo di carcere per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi” (in un secondo processo, l’Aldrovandi bis, il 5 marzo 2010 tre poliziotti - Paolo Marino, Marcello Bulgarelli, Marco Pirani - saranno condannati per presunti depistaggi nelle indagini). Grazie alla legge sull’indulto dopo sei mesi i quattro imputati saranno nuovamente liberi tornando in servizio un anno dopo.

Federico era tifoso della squadra di calcio cittadina, la Spal. Amava la musica e i concerti. Suonava il clarinetto e, fin da quando aveva 11 anni, prendeva lezioni di karate. Aveva 18 anni ed era in attesa di sostenere l’esame per la patente. Oggi avrebbe compiuto 36 anni. E invece è morto mentre era nelle mani dello Stato.

Come Serena Mollicone prima di lui, come Stefano Cucchi dopo di lui, come in tante e in tanti, in troppe e in troppi.

“Il giorno che venisti al mondo - scriveva papà Lino il 23 dicembre del 2013 - fu il più bello della mia vita e vorrei tanto tenerti ancora in braccio, perché non ci si può abituare all’orrore della morte, all’orrore dell’uccisione di un figlio. Ora dopo ben otto anni da quando 4 individui con una divisa addosso ti uccisero senza una ragione, non mi è rimasto altro che raccontare quanto meraviglioso voglia dire essere stato tuo papà, nella gioia, nell’amore e maledettamente nel dolore insopportabile di non poterti mai più avere accanto. Ma tanti altri padri, madri, sorelle, fratelli, figli e figlie di altre vittime potrebbero dire la stessa cosa, testimoni in prima persona di tempi, da troppo, mai così bui e pieni di ingiustizie e impunità”.

“Passano i giorni - scriveva il 16 luglio dello stesso anno - e dopo quasi otto anni non si sta meglio, si sopravvive. Guardo il mondo sempre più sconcertato. Quanto dolore, quante torture, quante incomprensioni, quanta arroganza, quanta violenza, quanta supponenza, quanta indifferenza, quanto corporativismo a prescindere dalle responsabilità palesi nei casi di tante altre vittime senza giustizia. E quando mi sento allo stremo e mi sembra di non farcela, nella mia solitudine forzata, ripenso al tuo sguardo e al tuo sorriso che mi donasti fin da bambino, e fino a poche ore prima che 4 persone ti uccidessero con violenza, senza una ragione. Ripensare a quei momenti insieme, per risentire la tua voce, sempre viva nel mio immaginario, pronunciare ancora una volta una frase magica e unica, più grande di ogni male: ‘ti voglio bene papà’, come quel 17 luglio 2005, giorno del tuo diciottesimo compleanno trascorso meravigliosamente insieme per l’ultima volta. Oggi ne avresti 26 di anni e chissà quante cose belle o meno belle avremo condiviso insieme. Non crescerò mai Federico, come l’hanno maledettamente impedito a te. Non cresceremo mai, ma altri bimbi forse sì, se gli uomini di buona volontà sapranno prendere spunto e insegnamento da questa orribile storia, in questo nostro paese”.