Da quando a Palazzo Chigi siede Giorgia Meloni in Italia il numero dei poveri assoluti e delle persone in grave deprivazione sono aumentati, mentre le risorse per affrontare quella che è una vera e propria emergenza divenuta strutturale sono diminuite. La prossima legge di bilancio rischia di ridurle ancora. Questo il quadro di sintesi di un Documento predisposto dall’Alleanza contro la povertà, presentato nei giorni scorsi alle forze politiche.

La povertà in numeri

Si stenta a crederlo: quasi il 10% della popolazione italiana si trova nella condizione di povertà assoluta, ad esser precisi siamo al 9,7%. Queste cifre, però ed è bene non dimenticarlo mai, corrispondono uomini e donne, bambine e bambini con storie diverse ma con un comune denominatore: non arrivano a fine mese, non mangiano a sufficienza, non si curano, spesso sono ai margini e faticano a mandare i figli a scuola.

E nel Paese in emergenza demografica, nel quale a ogni piè sospinto Meloni e Roccella non fanno altro che richiamare le donne alla loro “responsabilità” di fare figli, si scopre che: “L’incidenza della povertà cresce sensibilmente tra i nuclei con tre o più figli minori, raggiungendo il 21,6% rispetto all’8,4% delle famiglie in generale”.

La povertà minorile

Ma che Paese è quello che sopporta senza scomporsi che circa un milione e 300mila bambini e bambine sono in povertà assoluta? Un Paese in cui i bambini nascono sempre meno, quei pochi che ci sono andrebbero tutelati: sono, forse meglio dire sarebbero, il nostro futuro. E quale futuro si prepara se chi dovrà realizzarlo mangia poco, non ha la possibilità di comprare libri e quaderni, non può accedere a cure tempestive visto lo stato di definanziamento del servizio sanitario.

“Le famiglie in povertà assoluta - si legge nel Documento - in cui sono presenti minori sono quasi 748 mila (il 12,4%), tra le più colpite quelle con 3 o più figli minori (18,8%) e quelle monogenitoriali (14,8%). Rispetto alle famiglie con minori composte da soli italiani, la povertà colpisce 4 volte di più le famiglie dove c’è almeno uno straniero e 5 volte di più quelle dove lo sono tutti (rispettivamente 8,2%, 34,1% e 41,4%)”.

Chi rischia la povertà

C’è chi è in povertà assoluta e chi già in conduzione di grande difficoltà economica e sociale, rischia fortemente di ritrovarsi in quella condizione. Il Documento riporta i dati di un’indagine Istat-Eusilc, che a leggerli fa crescere sconforto e rabbia per quello che si potrebbe fare e non si fa: “Il 23,1% degli individui è a rischio di povertà o esclusione sociale e il valore è anche in lieve aumento rispetto al 22,8% dell’anno precedente”.

“Le persone a rischio di povertà permangono su livelli elevati al 18,9%: vi sono oltre 2,7 milioni di individui in condizione di deprivazione materiale grave”. Non serve la calcolatrice per sommare i 5,7 milioni di persone in povertà assoluta e gli oltre 2,7 milioni in condizione di deprivazione grave. Il totale fa davvero paura: 8,4 milioni di uomini, donne, bambini e bambine.

Si è poveri lavorando

Un tempo il lavoro era lo strumento di emancipazione dal bisogno e non solo, oggi non lo è per tutti. È cosa nota ma è bene rimarcarlo, tanto più in presenza dell’ennesimo imbroglio del Governo che ha fatto approvare dal Parlamento a maggioranza blindata una legge delega sul salario minimo che non contiene il salario minimo.

Il Documento attesta: “Si conferma una quota significativa di persone in povertà pur avendo un’occupazione (working poor), soprattutto in presenza di occupazione discontinua; in particolare l’Istat ha rilevato che tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% al 7,6%”.

Perché si diventa poveri

Come in tutti i fenomeni sociali anche in questo è possibile individuare cause e fattori di rischio. Per l’Alleanza contro la povertà sono: inflazione alimentare e costi dell’abitare, precarietà e discontinuità lavorativa, l’assenza di politiche redistributive efficaci e carenza di sostegni all’abitare, la debolezza e disomogeneità dei servizi sociali territoriali, frammentazione dei legami sociali. Nella stesura della prossima legge di bilancio qualcuno terrà conto di tutto ciò? La strada vera sono le politiche pubbliche: quando si parla di servizi territoriali, si dice asili nido, assistenza sanitaria, servizi per anziani e minori. Questi sono solo alcuni esempi di ciò che finora non è stato fatto.

I numeri della vergogna

Con la legge di bilancio dello scorso anno si sono tagliati 1,7 miliardi di euro nel passaggio da Reddito di cittadinanza ad Assegno di inclusione. Solo poco più della metà dei nuclei familiari che percepiva il RdC ha avuto l’Adi. Si legge nel Documento: “La riforma ha dunque prodotto una significativa contrazione della platea originaria, applicando un sistema selettivo, focalizzato sui nuclei con componenti in condizioni di fragilità esplicitamente previste dalla normativa. La norma pertanto segna il passaggio da una logica universalistica a un modello categoriale, che subordina l’accesso alla presenza di specifici requisiti familiari o personali”.

Serve un cambio di passo

È allarmata Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil che afferma: “Come rimarcato dall’Alleanza contro la Povertà, nel nostro Paese la povertà è una condizione sempre più diffusa e strutturale che colpisce maggiormente le famiglie numerose e con figli minori, le famiglie operaie, quelle del Mezzogiorno, quelle in affitto, i migranti, e che amplifica le profonde diseguaglianze nel nostro Paese”. “Particolarmente allarmante – aggiunge - è la povertà minorile, con 1,3 milioni di minori in povertà assoluta e il 5,9% dei minori che vive in famiglie in difficoltà economiche tali da impedire l’acquisto del cibo necessario”.

Che fare? Risponde netta Barbaresi: “Tutto ciò non si affronta certo con qualche bonus o caritatevole carta-acquisti ma con misure strutturali di contrasto della povertà, che abbiano carattere universale, per non lasciare indietro nessuno, e affrontando tutti i fattori della povertà”.

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