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Appena ieri c’è stato l’estremo saluto alle vittime dell’ultima strage sul lavoro in Italia. A Napoli un carrello elevatore si è rovesciato sbalzando tre operai. Il volo lungo sei piani prima di morire sul colpo. Ma non c’è quasi il tempo di aggiornare la contabilità. E già tra Cagliari e Bari altri due colleghi precipitati da ponteggi hanno trovato lo stesso destino, in una sorta di coazione a ripetere determinata da un sistema produttivo che ha smesso da tempo anche solo di fingere di voler trovare soluzioni che riducano i rischi.
Non c’è il tempo di assicurarsi a una fune e si continua a cadere dall’alto incontro alla morte come succedeva cinquanta, sessanta o settant’anni fa. Ci illudiamo che la cultura sia cambiata, che ci sia più attenzione o sdegno, ma in realtà è una piccola minoranza quella che pensa che tutto questo sia inaccettabile e che cerca disperatamente di fare qualcosa. Per il resto della società – e soprattutto della politica, di chi ha il potere di decidere attraverso le leggi e l’indirizzo delle poste di bilancio – è legittimo barattare il rischio per uno zero virgola di produttività in più, come è legittimo lo sfruttamento dei lavoratori, di cui la morte sul lavoro ne è la conseguenza estrema.
A ricordarcelo, una volta di più, è il report pubblicato in queste ore da Carlo Soricelli che ormai da quasi vent’anni, con il suo Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro, nato il 1° gennaio 2008, conta le vittime, da quelle prime sette alla ThyssenKrupp di Torino che lo ispirarono. Migliaia di nomi, di storie, di volti, di età, di circostanze – spesso identiche –. Migliaia di famiglie monche, di figli che nel frattempo sono cresciuti orfani.
“Chi è Stato?”, si scrive spesso parlando di mafia, ma si potrebbe scrivere parlando dei morti sul lavoro. Cercando le responsabilità proprio lì dove sono, in uno Stato assente, che non vigila e non investe, che accetta – per non dire alimenta – questo stillicidio quotidiano. Che accontenta tanti imprenditori per i quali risparmiare la vita di un dipendente vale meno che investire in formazione e sicurezza.
Eccolo il report, in tutta la sua crudezza, con i dati aggiornati a ieri, 31 luglio, secondo i quali nel 2025 ogni sei ore è morto un lavoratore, un calcolo che ha reso quest’anno il più tragico da quando esiste l’Osservatorio. “Dall’inizio dell’anno – si legge sul documento – sono morti 873 lavoratori, di cui 621 sui luoghi di lavoro (esclusi gli incidenti in itinere). Il ritmo delle morti è spaventoso: ogni 6 ore e pochi minuti un lavoratore perde la vita. Se si considerano solo i dati Inail, che escludono migliaia di lavoratori non assicurati o assicurati con altri enti, le denunce (comprensive di itinere) al 30 maggio 2025 sono appena 389. Un’enorme sottostima della realtà”, secondo Soricelli.
Le cause di questa recrudescenza, si legge nel documento, vanno ricercate, tra gli altri motivi, negli appalti a cascata del così denominato Codice Salvini che, entrato in vigore nel giugno 2023, ha provocato, secondo i calcoli di Soricelli, un aumento del 15% dei decessi, soprattutto in edilizia e appalti pubblici. Nello stesso testo tra le responsabilità politiche e normative si cita il Jobs Act: “dall’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nel 2015, l’aumento dei morti è stato del 43%”, si legge sul report.
Tra i dati allarmanti del 2025, scrive Soricelli, c’è l’età delle vittime: “Oltre il 30% dei morti sui luoghi di lavoro ha più di 60 anni. Di questi, il 17% ha più di 70 anni”. Ma non solo. “Il 32% delle vittime è costituito da lavoratori stranieri. Le donne muoiono meno sui luoghi di lavoro, ma quasi quanto gli uomini in itinere, spesso per la fretta e la stanchezza nel conciliare lavoro e famiglia”.
Tra le categorie più colpite Soricelli cita i “94 morti per schiacciamento da trattori o mezzi agricoli (erano 143 nel 2024), gli 88 autotrasportatori deceduti, gli 88 morti per fatica o stress da superlavoro (operai, braccianti, medici, infermieri, ecc.), i 48 morti per infortuni domestici, gli 11 morti durante potatura di alberi”.
Questi sono i numeri raccolti al 31 luglio da quello che Soricelli racconta come “il primo e unico osservatorio italiano che monitora tutti i caduti sul lavoro, anche quelli non coperti dall’Inail, lavoratori in nero o con assicurazioni diverse. Ogni vittima – spiega – è registrata con nome, età, professione, nazionalità e luogo della tragedia. Una voce fuori dal coro che rifiuta ogni minimizzazione di fronte a una carneficina”.