“L’Italia cresce, l’occupazione aumenta”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato gli ultimi dati sul lavoro. Ma dietro i toni trionfalistici si nasconde una realtà più complessa, che racconta un Paese dove la quantità dei contratti non corrisponde alla qualità dell’occupazione.

Secondo il Rendiconto sociale Inps 2024, richiamato anche dal Consiglio di indirizzo e vigilanza presieduto da Roberto Ghiselli, otto nuove assunzioni su dieci sono a termine. Su 8,1 milioni di contratti, ben 6,5 milioni non garantiscono stabilità. È la fotografia di un mercato del lavoro sempre più frammentato, dove la “flessibilità” promessa come opportunità è diventata sinonimo di precarietà.

La crescita che invecchia

Sì, l’occupazione cresce, ma cresce soprattutto tra gli over 50. Non perché l’Italia sia diventata un Paese di miracolosi lavoratori maturi, bensì perché la popolazione invecchia e l’età pensionabile si allunga. Le nuove generazioni restano ai margini: i giovani tra i 15 e i 24 anni, che nel 2022 avevano un tasso di occupazione del 20,3%, nel 2025 si fermano al 17,6%, mentre gli inattivi aumentano dal 74,2% al 78,2%.

Un dato che smentisce qualsiasi racconto ottimistico: la ripresa non coinvolge chi dovrebbe costruire il futuro. Il lavoro giovanile è più instabile, più malpagato e spesso confinato nei settori meno tutelati.

Più donne al lavoro, ma a metà

Anche l’aumento dell’occupazione femminile nasconde ombre pesanti, lo denuncia da tempo la Cgil. Quasi una donna su due lavora part-time, contro il 15% degli uomini. In molti casi si tratta di part-time involontario, accettato per mancanza di alternative. E il divario retributivo resta una costante: le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, con minori contributi e carriere più discontinue. Dietro la retorica della “libertà di scegliere il proprio tempo”, si nasconde la costrizione economica di chi deve conciliare lavoro, cura e redditi insufficienti.

Lavoro povero, lavoro insicuro

La disoccupazione cala, è vero. Ma cresce l’occupazione povera e precaria. Le assunzioni a tempo indeterminato, rileva il rapporto, arretrano: da 1,7 milioni nel 2023 a 1,58 milioni nel 2024. Il segno positivo, insomma, è trainato dai contratti brevi, stagionali, a chiamata, da forme ibride di impiego che non garantiscono né stabilità né dignità.

E mancano all’appello altri dati fondamentali: quanti sono gli infortuni, i morti sul lavoro, i lavoratori irregolari o sfruttati? La crescita che ignora questi numeri non è progresso, ma un’illusione statistica.

La verità dietro il saldo positivo

Lo stesso Rendiconto Inps parla chiaro: i contributi crescono del 5,5%, “non proporzionalmente all’aumento degli occupati”. Significa che si lavora di più ma si versa di meno, perché si guadagna meno. È la spia di un modello che crea occupazione senza futuro, fondato su bassi salari, contratti instabili e carriere intermittenti.

La success story del governo Meloni, insomma, è scritta su una sabbia che si sgretola: dietro ogni grafico in salita ci sono milioni di vite sospese, che attendono non un annuncio ma una politica capace di restituire al lavoro il suo valore.