Secondo uno studio Microsoft Research riportato da Visual Capitalist e ripubblicato a sua volta dal Sole 24 ore lo scorso ottobre, ci sono circa quaranta professioni esposte ai “rischi” dell’intelligenza artificiale. Mestieri per lo più intellettuali o legati alla sfera digitale che l’IA potrebbe mettere, o sta già mettendo in crisi, vista l’alta capacità di replicarne le mansioni principali.

I 40 lavori a rischio

Nella classifica dei quaranta lavori più “esposti” compaiono figure come interpreti, traduttori, redattori, storici, addetti al customer service, sviluppatori web, analisti di dati, venditori e relatori pubblici. In cima, con oltre il 90% delle mansioni potenzialmente automatizzabili, ci sono gli storici. Le professioni citate afferiscono in gran parte, se non tutte, ai settori della comunicazione in senso lato.

Saccone: l’IA non può essere fermata

“Il livello di pervasività dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi è ormai capillare – osserva Riccardo Saccone, segretario generale della Slc Cgil – per questo invece di mettere toppe bisognerebbe cimentarsi in un ragionamento preventivo”. Secondo il segretario della categoria Cgil, per farlo occorre innanzitutto ragionare di persone, di prospettive occupazionali, di formazione professionale: “L’IA brucerà una serie di professioni che non esisteranno più, tante professionalità sono destinate a estinguersi, ma altrettante a svilupparsi”.

Tagliati 166 mila posti di lavoro nel 2025

Tra i settori più colpiti a livello globale c’è senza dubbio quello delle big tech: nel 2025 hanno già lasciato a casa oltre 166 mila lavoratori che, secondo le stime, diventeranno 235 mila entro la fine dell’anno. Quando si parla di tecnologia non si possono trascurare quegli ambiti produttivi in cui la comunicazione è ancillare al core business principale. Si pensi a un colosso dell’e-commerce come Amazon, che ha già cominciato a licenziare 14 mila lavoratori, per aumentare l'efficienza e semplificare le operazioni attraverso l’uso dei robot.

Call center e customer care: maglia nera della crisi

Tra i settori in cui l’impatto dell’intelligenza artificiale si sta rivelando devastante, c’è senza dubbio quello dei call center. Laboratorio ante litteram della precarietà, vent’anni dopo si candida a essere il luogo più emblematico di una crisi perenne: licenziamenti collettivi, cessioni di rami d’azienda e un rinnovo contrattuale delle Tlc che tarda ad arrivare, esponendo migliaia di lavoratori alla disoccupazione.

Contrattazione, formazione, transizione

“Enel ha bandito una gara per la gestione del customer care con clausola sociale – spiega Saccone –, ma già con la condizione che questi posti di lavori siano da considerarsi degli esuberi a monte, perché le persone andranno nel tempo ricollocate”. La posizione del sindacato è chiara: l’IA non è un nemico da combattere, ma uno strumento da governare, soprattutto attraverso la formazione professionale continua. Le aziende dovrebbero avere la lungimiranza di innescare un circolo virtuoso: impiegare oggi gli operatori per addestrare al meglio le macchine che li sostituiranno. Al contempo, formare quelle professionalità che nel prossimo futuro serviranno a gestire processi tecnologici sempre più elaborati, che non potranno mai essere totalmente indipendenti dal fattore umano.

Rinnovare il contratto Tlc 

E tuttavia ad oggi le imprese – anche se non tutte – sembrano più orientate all’uso dell’intelligenza artificiale principalmente con l’obiettivo di tagliare i costi. Fondamentali, dunque, sono le norme: sia sul piano della giurisprudenza che su quello della contrattazione collettiva. “Nel contratto delle Tlc, ormai scaduto, eravamo riusciti a inserire 26 nuovi profili professionali, tutti legati alla digitalizzazione. Oggi questi profili sono già vecchi” osserva il sindacalista, che però cita anche alcuni esempi di contrattazione aziendale andati a buon fine, come quello con Konecta, che prevede l’inserimento del delegato ai dati, con il ruolo di valutare l’impatto dei processi algoritmici.

Audiovisivo: la prima volta dell’IA

Ma la categoria può vantare un esempio innovativo anche al livello nazionale, con il contratto dell’audiovisivo rinnovato circa un anno fa e che per la prima volta stabilisce norme e limiti all’utilizzo dell’intelligenza artificiale in un settore in cui è già fortemente invasiva. “Bisogna aprire un ragionamento con le aziende – dice Saccone -, ma anche con il governo. La legge sull’intelligenza artificiale è un primo importante passo, ma notiamo un approccio più orientato alla gestione degli effetti, che alla governance dell’intero processo”. Mancano, secondo il sindacato, riferimenti dettagliati a come l’intelligenza artificiale possa e debba concretamente permeare le attività produttive. La legge – che per altro è una delega al governo – sembra più essere tesa a definire un quadro etico generale.

Il rapporto Desi: Italia agli ultimi posti 

Il rapporto Desi (Digital Economy and Society Index) 2024 colloca l’Italia agli ultimi posti per le competenze digitali, oltre che per la diffusione nelle piccole e medie imprese e nelle grandi dell'intelligenza artificiale. Si tratta di un indicatore annuale della Commissione europea che misura il grado di digitalizzazione dei paesi Ue, monitorando progressi in aree come connettività, competenze, integrazione tecnologica delle imprese e servizi pubblici digitali. “Il grosso rischio – conclude Saccone - è che nel prossimo futuro verremo improvvisamente travolti dall’IA senza essere pronti. Questo è un errore madornale, perché stiamo attraversando una transizione epocale. E se verrà vissuta dalle persone come un’opportunità o come una minaccia dipende solo da noi, da come la gestiremo”.