Mario Caradonna è un anestesista rianimatore del Policlinico di Palermo. Lavora per il 118, nella Centrale operativa Palermo-Trapani, e assicura copertura sanitaria anche alle isole minori, Lampedusa e Pantelleria. È uno di quei sanitari costretti a volare quando il mare separa la vita dalla morte.

Pronuncia le sue parole, raccolte questa mattina dal settimanale L’Espresso, mentre il governo è pronto a varare una manovra finanziaria che taglia nuove risorse alla sanità pubblica, al personale medico e al diritto di ogni cittadino di essere curato in modo adeguato, anche nelle periferie del Paese. “Basta con i grazie a costo zero – dice Caradonna – servono organici, mezzi, protocolli e stipendi all’altezza. I miracoli non sono una politica pubblica”. Il suo racconto è la sintesi di cosa significhi lavorare in un territorio che vive ogni giorno al limite dell’emergenza.

Le notti da codice rosso di Lampedusa

Domenica 19 ottobre, in una delle tante notti vissute nell’emergenza, a sedici miglia dalla costa di Lampedusa una motovedetta ha raggiunto un barcone carico di persone stremate. Sottocoperta giacevano due corpi senza vita. In coperta e nella stiva, decine di uomini e donne respiravano a fatica, intossicati dai vapori di benzina. Una scena ormai familiare, che si ripete sempre uguale: arrivano, vengono soccorsi, curati. “Ma ciò che raramente si racconta – spiega Mario Caradonna – è il resto: il come, con quali mezzi, con quali mani, con quale logoramento fisico e mentale per chi, su quell’isola, cerca ogni volta di tenere insieme i pezzi”.

Nelle ore successive allo sbarco, i codici rossi si sono moltiplicati. Gli elicotteri del 118 hanno attraversato la notte tra Lampedusa e la Sicilia occidentale, avanti e indietro, in una corsa contro il tempo. Cinque pazienti sono stati trasferiti in condizioni critiche, uno non ce l’ha fatta. “Perché – spiega il rianimatore – quando la stiva sa di idrocarburi, il tempo è terapia.”

La Centrale operativa 118 fa ciò che può fare quando le risorse sono al limite: dare un ordine al caos, assegnare priorità, trovare posti letto, allertare equipaggi, cucire una rete di soccorso che ogni volta rischia di strapparsi. Tutto con personale stremato, strumenti logori e una macchina che continua a reggere solo grazie alla competenza e all’ostinazione di chi ci lavora.

“Il triage non ha passaporto”

Nel momento più concitato, al presidio sanitario dell’isola, un cittadino lampedusano ha aggredito verbalmente i medici, accusandoli di “occuparsi più dei migranti che degli italiani”. Proprio in quell’istante si gestivano gravissimi codici rossi. “Il triage non ha passaporto”, ha ricordato Caradonna: si cura per gravità, non per nazionalità.

La sicurezza degli operatori è parte del diritto alla cura, esattamente come l’ossigeno, i farmaci salvavita o un elicottero che decolla in pochi minuti. Chi vola da Lampedusa sa che non ci sono alternative, non ci sono ospedali dietro l’angolo. C’è solo il mare, spesso il buio e condizioni meteo critiche. Ogni decollo è una scelta pesante, ogni minuto è vitale.

Una frontiera sanitaria ignorata dalla politica

Lampedusa è la prova di quanto il diritto alla salute non sia uguale per tutti. È una frontiera sanitaria che regge soltanto grazie alla professionalità e alla prontezza di chi ci lavora. Ma non può essere così per sempre. “La Regione Siciliana – denuncia Caradonna – continua a non riconoscere pienamente un adeguamento delle tariffe. I compensi restano sotto la media nazionale, e i piccoli ritocchi arrivati non bastano”. Mentre le istituzioni raccontano “numeri sotto controllo”, la realtà è fatta di trasferimenti urgenti e medici che fanno turni impossibili. La macchina del 118 continua a reggere, ma lo fa per abitudine al sacrificio, non per pianificazione.

Tagli, numeri e retorica

È in questo quadro che la nuova legge di bilancio, invece di rafforzare il servizio sanitario nazionale, lo impoverisce ulteriormente. Taglia sui presìdi, sugli organici, sui diritti di chi vive nelle aree interne e nelle isole minori. E così la distanza tra la retorica e la realtà si allarga di nuovo: da un lato la propaganda del controllo, dall’altro i corpi salvati a fatica sul molo di Lampedusa. Pretendiamo standard europei di risposta, ma paghiamo chi salva vite come se svolgesse un servizio accessorio. È un paradosso che non regge più. Perché ogni mancata programmazione diventa, prima o poi, un’altra emergenza da gestire con mezzi insufficienti e ringraziamenti retorici.

“Basta con i grazie a costo zero”

Caradonna lo dice con la sobrietà di chi lavora in silenzio, ma le sue parole pesano come un atto politico. Servono dotazioni stabili, protocolli chiari, formazione specifica per i rischi chimici e psicologici, basi Hems davvero operative h24 e tariffe allineate alla media nazionale. Servono rispetto e risorse. “Non chiamatela emergenza – conclude – chiamatela per quello che è: programmazione mancata.” Perché su quel tratto di mare tra Lampedusa e la terraferma non si viaggia per gloria, ma per salvare vite.