Non c’è più l’armonia di un tempo tra Confindustria e governo. La legge di bilancio ha reso evidente una crepa che da mesi attraversa i rapporti tra gli industriali e l’esecutivo: da un lato, la richiesta di incentivi, sgravi e fondi stabili per sostenere la competitività delle imprese; dall’altro, la prudenza contabile di un governo che, stretto tra debito e consenso, appare sempre più diffidente verso le pressioni del mondo produttivo.

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Dopo un anno di slogan condivisi – “Patto per la crescita”, “alleanza per l’Italia che lavora” – la musica è cambiata. Gli industriali guidati da Emanuele Orsini lamentano una manovra povera di visione, concentrata su bonus temporanei e misure spot. Palazzo Chigi, invece, teme che la nuova Transizione 5.0 e i crediti d’imposta richiesti finiscano per trasformarsi in un pozzo senza fondo, a vantaggio di pochi.

Dietro le formule tecniche, c’è una divergenza evidente. Per Confindustria la priorità è liberare investimenti privati, il governo punta a evitare squilibri nei conti pubblici e, soprattutto, conservare il controllo politico delle risorse. E anche sul taglio delle tasse, il presidente Orsini ha recentemente dichiarato che “la ricchezza non la fai con Irpef e pensioni”. Insomma una manovra, per citare il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, “che fa ci fa andare a sbattere”.

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Il risultato è un dialogo congelato. Gli incontri annunciati vengono rinviati, le assemblee territoriali diventano sfoghi pubblici e i comunicati sempre più taglienti. Le sedi di Confindustria del Nord, solitamente più vicine al centrodestra, parlano apertamente di “mancanza di ascolto”. Ma la realtà è che l’intero sistema produttivo si trova stretto in una morsa: tassi alti, consumi fermi, investimenti pubblici che arrancano.

La contraddizione è tutta lì. Le imprese chiedono stimoli, ma restano silenziose sul nodo dei salari e del potere d’acquisto, il vero motore della domanda interna. Mentre il governo finge di difendere la stabilità, taglia sulla spesa sociale e non investe davvero su scuola, sanità e innovazione. È un braccio di ferro che parla di un Paese immobile, dove ognuno pensa al proprio bilancio e nessuno alla collettività.

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Ma c’è un tema più profondo: l’assenza di una politica industriale capace di tenere insieme produzione e diritti. Senza una strategia condivisa, l’Italia rischia di restare schiacciata tra austerità e rendita. E allora non basteranno più né le pressioni degli industriali né i calcoli di Palazzo Chigi, servirà una visione che rimetta al centro il lavoro, non solo i conti.