È arrivata come una doccia gelata la notizia che decine di ricercatori temevano da settimane. Nei giorni scorsi, in un incontro ad Assolombarda tra la proprietà di Nerviano Medical Sciences – il fondo cinese Pag – e i rappresentanti dei lavoratori, è arrivata la conferma più dura: partono le lettere di licenziamento. Non si tratta di esuberi marginali, ma di circa 80 ricercatori che dovranno lasciare il polo scientifico di via Pasteur, cui si aggiungeranno altri dipendenti della controllata Bio Pharma.
Il colpo più pesante è la tempistica: i licenziamenti scatteranno nell’immediato e, fatto ancor più grave, senza alcun ammortizzatore sociale. Nessuna cassa integrazione, nessuna rete di protezione: centinaia di famiglie si ritrovano di fronte a una crisi che travolge tutto e mette a rischio competenze costruite in anni di ricerca di altissimo livello.
Un centro di eccellenza a rischio smantellamento
Quella di Nerviano non è un’azienda qualsiasi. Nata negli anni Sessanta come Farmitalia Carlo Erba, ha contribuito a scrivere pagine fondamentali nella lotta contro i tumori: tra le sue mura sono stati scoperti farmaci come la Doxorubicina e l’Entrectinib, che ancora oggi vengono usati in tutto il mondo per curare migliaia di pazienti.
La chiusura di reparti chiave come biologia e chimica – annunciata ufficialmente a luglio – ha segnato un punto di non ritorno. Oggi, con le prime lettere di licenziamento, quella minaccia diventa realtà.
Non è solo un problema occupazionale. È l’intero Paese a perdere un presidio di ricerca unico: uno degli ultimi in grado di seguire l’intera filiera, dalla scoperta del principio attivo fino alle prime fasi cliniche. Un capitale umano e tecnologico che non può essere ricostruito altrove se non in decenni, con enormi investimenti.
Conseguenze pesanti su salute e sistema sanitario
La chiusura del polo avrebbe ricadute immediate e tangibili. Gli ospedali locali perderebbero l’accesso a farmaci sperimentali già disponibili in fase clinica, con un impatto diretto sulla qualità delle cure. L’Italia diventerebbe ancora più dipendente dall’estero, costretta a importare molecole sviluppate altrove, spesso a costi altissimi.
L’esperienza della pandemia da Covid-19 dovrebbe aver insegnato qualcosa: la mancanza di una ricerca autonoma costrinse il nostro Paese a inseguire, pagando ritardi e prezzi elevati. “Oggi – sottolineano i ricercatori – rischiamo di ripetere lo stesso errore”.
Futuro negato a chi ha scelto l’Italia
Dietro i numeri ci sono volti e storie. Molti dei ricercatori di Nms avevano deciso di restare in Italia, nonostante stipendi più bassi e carriere spesso in salita. Altri erano rientrati dall’estero, convinti di poter costruire un futuro professionale qui, accanto alle proprie famiglie. Oggi si ritrovano a dover fare i conti con una precarietà che pensavano di aver lasciato alle spalle.
Il rischio non è solo di perdere posti di lavoro, ma di disperdere competenze uniche. Quella che gli esperti chiamano “conoscenza tacita” – fatta di pratiche, abilità e relazioni di laboratorio – non si improvvisa e non si trasferisce con un semplice passaggio di consegne.
Sindacati in allarme, istituzioni sotto accusa
Nei giorni scorsi i sindacati avevano già portato i ricercatori a manifestare davanti al palazzo di Regione Lombardia. Ora alzano ancora di più il livello della mobilitazione. La Filctem Cgil chiede l’immediata apertura di un tavolo interministeriale, con il coinvolgimento di governo, Regione e sindacati, per bloccare i licenziamenti e mettere in campo un piano industriale pubblico.
L’obiettivo è chiaro: dare continuità alle attività, preservare le competenze accumulate e garantire la sopravvivenza di una missione che riguarda l’intero Paese. “La ricerca non è un costo da tagliare – spiegano – ma un investimento strategico per la salute pubblica e per la competitività scientifica dell’Italia”.
Un patrimonio da difendere
Il fondo cinese Pag aveva acquisito il gruppo Nms – che include anche NerPharma e Accelera – sette anni fa. Oggi, la scelta di dismettere progressivamente attività e reparti rischia di chiudere per sempre il più grande centro oncologico privato d’Europa.
La storia insegna che ricostruire un ecosistema simile richiederebbe anni di sacrifici e miliardi di investimenti. Perdere Nerviano significherebbe rinunciare a nuove terapie, disperdere competenze inestimabili e mettere un punto finale a un pezzo di storia della ricerca italiana. I ricercatori lo ripetono da settimane: “La ricerca è vita. Difendiamola”. Oggi più che mai quell’appello non suona come uno slogan, ma come un grido di allarme che le istituzioni non possono permettersi di ignorare.