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C’è un filo rosso che lega i confini e le fabbriche, i documenti e i campi agricoli, i permessi di soggiorno e le mani che raccolgono pomodori o accudiscono gli anziani. È il filo dello sfruttamento e si dipana in tutta Europa. Si è svolto oggi, presso l’Istituto Gramsci siciliano di Palermo, l’incontro “Confini e muri: un’Europa aperta solo allo sfruttamento?”, promosso dalla Cgil in collaborazione con Solidar, nell’ambito dell’undicesima edizione del Festival Sabir.
L’iniziativa ha messo al centro il legame tra politiche migratorie europee e condizioni di lavoro dei migranti, analizzando le forme di abuso che derivano da un sistema basato sulla precarietà giuridica e sociale. Sono intervenuti Mikael Leyi, segretario generale di Solidar, Sara Kekuš del Centre for Peace Studies croato, Maria José Moreno del Mpdl, il movimento per la pace spagnolo, Nicoletta Grieco (Cgil - Rete sindacale migrazioni mediterranee e subsahariane, e la segretaria della Cgil Palermo Bijou Nzirirane. Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil, ha invece chiuso i lavori.
Una prospettiva interregionale
Il dibattito è stato moderato da Peppe Scifo della Cgil nazionale, che ha ricordato le origini del Festival Sabir, nato dopo la strage di Lampedusa del 2013 per dare voce al Mediterraneo e alla società civile. Ha evidenziato come l’iniziativa odierna affronti temi di lavoro e migrazione, mettendo al centro la precarietà dei lavoratori migranti stagionali e irregolari e l’Europa dei confini armati e dei respingimenti. Ha poi ringraziato Solidar per la collaborazione e sottolineato che il dibattito di oggi offre una prospettiva interregionale, che collega Europa, Mediterraneo e Africa sub-sahariana, confrontando esperienze e pratiche su politiche migratorie e diritti dei lavoratori.
Un'Europa sociale
Mikael Leyi, segretario generale di Solidar, ha presentato l’organizzazione che rappresenta, una rete europea composta da sindacati, organizzazioni sociali e associazioni impegnate nella promozione della giustizia sociale, dei diritti dei lavoratori e della solidarietà internazionale. Leyi ha poi evidenziato le principali sfide che i lavoratori migranti, con o senza documenti, devono affrontare per accedere a standard di lavoro equi e alla rappresentanza sindacale. E ha sottolineato che “la partecipazione al sindacato non tutela solo i diritti sul lavoro, ma diventa anche uno strumento per affermare i diritti di cittadinanza”.
Secondo Leyi, elaborare raccomandazioni concrete per rafforzare le condizioni di lavoro nell’ambito del Pilastro europeo dei diritti sociali richiede un cambiamento di metodo: non basta pensare a strumenti come il Talent Pool (sistema di selezione temporanea per migranti ndr), soprattutto se non collegati a una reale stabilità in termini di permesso di soggiorno e cittadinanza, valida in tutta l’Unione Europea.
Sfruttamento nei Paesi di frontiera
La ricercatrice croata Sara Kekuš ha poi illustrato la situazione in Croazia, dove il numero dei richiedenti asilo è diminuito mentre cresce il reclutamento di lavoratori migranti da parte di agenzie private. Ha descritto un contesto in cui “le persone migranti vivono condizioni di sfruttamento e discriminazione, con difficoltà di accesso alla giustizia e tutele carenti”. Il Centre for peace studies, ha spiegato, fornisce assistenza legale e promuove formazione sui diritti del lavoro, ma le politiche europee continuano a condizionare le pratiche nazionali, spesso in senso restrittivo.
Un sistema che crea precarietà
La segretaria della Cgil Palermo, Bijou Nzirirane, ha affrontato il tema delle politiche italiane di ingresso e regolarizzazione. Ha ricordato che i decreti flussi continuano a essere pensati in chiave emergenziale e utilitaristica: “Se servi all’economia, esisti; altrimenti resti invisibile”.
Come prova della disfunzionalità del sistema, Nzirirane ha richiamato i dati del decreto flussi 2023–2026: 452.000 ingressi previsti, solo il 7,8% effettivamente tradotti in occupazione. Ha poi descritto le condizioni di sfruttamento che persistono in agricoltura, edilizia e lavoro domestico, citando l’esempio dei braccianti di Campobello di Mazara e delle lavoratrici di cura prive di tutele. “È necessario - ha concluso - un cambio di paradigma nelle politiche migratorie: servono percorsi stabili, diritti esigibili e un piano strutturale, non interventi episodici.”
“Arraigo”, il modello spagnolo
Maria José Moreno del Movimento per la pace spagnolo (Mpdl), ha illustrato l’esperienza spagnola dell’arraigo, una procedura di regolarizzazione che riconosce la presenza radicata delle persone migranti. A giugno 2025, ha spiegato, in Spagna erano 352.089 le persone con permesso per arraigo, con un aumento del 23% in un anno. La nuova normativa ha ridotto da tre a due anni il periodo minimo di residenza richiesto, estendendo la possibilità di lavorare legalmente, ma restano criticità legate all’esclusione dei richiedenti asilo dal conteggio della residenza. “Regolarizzare – ha affermato – non è una concessione ma un riconoscimento. Migrare è un diritto umano, e lo Stato ha il dovere di garantire dignità e diritti.”
Una strategia europea per la regolarizzazione
Nicoletta Grieco, in rappresentanza della Cgil e della Rete sindacale del mediterraneo e subsahariane, ha proposto una visione comparata delle politiche migratorie. Ha ricordato che, a differenza della Spagna, in Italia non esiste un meccanismo ordinario di regolarizzazione: “L’ultima sanatoria, quella del 2020, ha riguardato solo agricoltura e lavoro domestico. È una grave lacuna.” Grieco ha annunciato che il 9 dicembre, a Bruxelles, la rete Rsmms e la Confederazione europea dei sindacati presenteranno un documento politico per chiedere all’Ue di introdurre percorsi stabili di regolarizzazione, garantire la libertà di movimento e rafforzare le ispezioni sul lavoro. “La dignità del lavoro – ha concluso – non conosce confini. L’irregolarità è spesso una conseguenza delle leggi, non una colpa individuale.”






















