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Se n’è andato Giovanni, 70 anni compiuti da poco, nostro collega e compagno negli anni di Rassegna Sindacale e poi di rassegna.it. L’ha fatto con la discrezione e l’intelligente mitezza che gli erano connaturate. Non abbiano fatto in tempo ad accorgerci del suo male e già Giovanni non c’è più. Se esiste un modo di morire con eleganza, con classe, sicuramente Giovanni Rispoli lo conosceva e l’ha praticato. Chi scrive, adesso, lo ricorda con molto affetto. Ma faccio fatica a definirlo semplicemente, riduttivamente, un “giornalista sindacale”. Perché Giovanni era molto di più. Era un raffinatissimo intellettuale, figlio di quella stagione del secondo Novecento italiano in cui un individuo colto, e non privo di un cuore che battesse con forza a sinistra, poteva sposare la propria traiettoria biografica alla causa del movimento operaio italiano, e risolverla compiutamente nell’orizzonte delle sue speranze, delle sue lotte, delle sue vittorie e delle sue sconfitte.
Giovanni Rispoli è stato colonna portante di quella redazione, di quel gruppo di giornalisti che seppero raccontare il mondo del lavoro, il sindacato, la Cgil, e insegnarono il mestiere a tante e tanti che ebbero la fortuna di formarsi al loro fianco. Si è spento in un giorno di dicembre, anticipando di poco l’inverno. Malato da tempo, era tornato nella sua Melfi da poche settimane, per morire circondato dall’affetto della famiglia.
Era nato lì, a Melfi, in quella Basilicata che lui sorridendo chiamava “la Svizzera del Meridione”, il 28 novembre del 1952. Ma la sua “patria” doveva diventare presto Roma, dove sarebbe arrivato nel settembre del 1971. Già da ragazzino – racconta chi l’ha conosciuto negli anni della formazione – Giovanni rivelò un’intelligenza spiccata. Sui banchi di scuola: alunno brillante ma nient'affatto secchione. Semplicemente curioso, alla ricerca di risposte che non sempre trovava sui libri. Durante gli anni, “rivoluzionari”, del liceo partecipò attivamente a una stagione politica vivace anche a Melfi, come in tutto il mondo di allora. Il vento del '68 soffiava forte anche in Lucania e Giovanni già sapeva avvincere i compagni con le sue riflessioni, il suo sguardo critico, la sua ironia.
Dopo il diploma si iscrisse a Lettere. Sostenne tutti gli esami ma non discusse la tesi. In quegli anni si faceva così. La cultura per la cultura, non per lo sfoggio di un titolo. Non laurearsi: anche questo, forse, un atto rivoluzionario. Nel frattempo: la scoperta della capitale, delle sue ragazze e dei suoi ragazzi. Una Roma che Giovanni, nottambulo come pochi, instancabile flâneur, camminatore da record, misurò palmo a palmo, apprendendo una consuetudine di lunghe passeggiate urbane che non avrebbe mai perso.
Ma dicevamo: il lavoro. Prima di entrare nel mondo Cgil, Rispoli collaborò con i Quaderni Piacentini e curò diversi volumi per gli Editori Riuniti, tra cui la Storia fotografica del Partito comunista italiano (1981) di Eva Paola Amendola, di cui Giovanni redasse i testi e della quale parlava sempre con una certa fierezza.
Iniziò a collaborare con la Cgil come correttore di bozze per la casa editrice Esi (Editrice sindacale italiana), dal 1982 rinominata Ediesse. Il suo primo incarico di rilievo fu una ricerca storica commissionatagli da Aris Accornero, sociologo del lavoro, all'epoca direttore dei Quaderni di Rassegna Sindacale.
Entrò nella redazione di Rassegna Sindacale nella metà degli anni Ottanta. Sotto la direzione di Renato D’Agostini, Giovanni seguì da vicino e raccontò la confederazione guidata da Bruno Trentin. In seguito, e fino agli anni in cui il giornale fu diretto da Enrico Galantini e poi Paolo Serventi Longhi, Rispoli curò da caposervizio le pagine culturali e quella dedicate al lavoro. Il suo ultimo libro è stato Oro dentro. Un archeologo in trincea (Skira 2015), una biografia di Fabio Maniscalco, della sua “vita esemplare”, scritta assieme a Laura Sudiro.
Ogni suo pezzo, che trattasse di temi culturali o storici, oppure attuali come l’Ilva di Taranto o la crisi Fiat, si evolveva in una precisione lessicale e in una calibrata esposizione “ad arte” davvero rare nel mondo per lo più prosaico e concreto delle cronache sindacali. I suoi articoli che ho apprezzato di più sono forse quelli di taglio storico sul movimento operaio italiano. Tanto che, quando mi è capitato di doverne scrivere io qualcuno, mi sono chiesto: "Come lo farebbe Giovanni?". D'ora in poi dovrò chiedermi: "Come l'avrebbe scritto Giovanni?".
Anche nel consueto lavoro redazionale di “cucina” e desk, Giovanni fu un maestro per tanti collaboratori, che impararono a scrivere seguendo i suoi consigli. Nella sede storica di via dei Frentani, abitata per decadi dalla famiglia allargata della sinistra romana, sono stato a lungo compagno di stanza di Giovanni. Una piccola stanza. Due tavoli, due computer. In mezzo una pila alta di libri e giornali, i libri e giornali di Giovanni. Una finestra. E un continuo via vai di collaboratori e collaboratrici, che entravano per proporgli un pezzo o per chiedergli un consiglio. Era insomma un uomo dall’acuta socialità, che amava le persone e ne era riamato. Ma, nello stesso tempo, era un solitario, appunto un flâneur dal temperamento anche forastico.
Abitava in un piccolo appartamento in affitto nel quartiere Nomentano, non distante dall’Aniene, assieme a Timba e Martina, le sue cagnoline che chiamava “le ragazze”, e che adesso sono orfane di lui. Conosceva e amava il vino rosso. Conosceva e amava il calcio, e amava moltissimo la Roma.
L'ultima volta che l'ho visto è stata una domenica di inizio ottobre, nel 2021. All’indomani dell’assalto fascista alla sede della Cgil. Venne a trovarci, e ad ascoltare le parole di Maurizio Landini. Poi mi raccontò di essere malato, ma che la situazione era “sotto controllo”. Una di quelle malattie che possono abitare il tuo corpo per anni, ma che, se le controlli appunto, anche grazie alle cure più evolute, possono lasciarti molto tempo, anche una lunghissima aspettativa di vita.
Era quanto speravo per Giovanni. Ma non è andata così. Lo scorso novembre un’amica comune mi ha informato del suo aggravamento. Gli ho scritto, chiedendo se potevo andarlo a trovare. Ma era troppo tardi. “Davide caro – mi rispose -, domani mi dimettono. Vado in un piccolo ottimo hospice in Basilicata, a un passo da Melfi”. Troppo tardi. Come spesso nella vita. E solo un inutile abbraccio non dato, ma scritto su un testo dallo sfondo verde.
La prima volta che incontrai Giovanni Rispoli, invece, fu negli anni Novanta. Tanto inesperto quanto giovane, scrivevo pezzi sul mondo del lavoro tedesco per Rassegna. Giovanni li passava. Un giorno m’inventai l’introduzione di una tassa sul plusvalore da parte del governo federale tedesco. Giovanni mi chiamò al telefono: “Davide caro, non mi sembra che i comunisti abbiano preso il potere in Germania. Questa tassa sul plusvalore non potrebbe forse essere l’Iva?”. Quindi mi consigliò l’acquisto di un dizionario tecnico. Seguii il suo consiglio. Il dizionario è ancora qui con me.
I funerali di Giovanni Rispoli si terranno a Melfi lunedì 19 dicembre, alle 10.00, nella Basilica Cattedrale. Le compagne e i compagni di Collettiva e Futura sono vicini alla sorella Ersilia, al fratello Franco e ai nipoti Chiara, Maria Teresa, Elena e Roberto, in questo momento di profondo dolore.