Un tempo, dire “non ci sono più le mezze stagioni” era un’esclusiva di zii, portinai e colonnelli pluristellati dell’aeronautica. Espressione da bar, buona per rompere il ghiaccio aspettando il caffè o il 60 barrato. Oggi è una constatazione brutale, simile a un bollettino di guerra. Il meteo parla con voce roca e occhi spiritati: “Oggi sopravviveranno i più forti”.

In questa Italietta senza termostato si passa dai 45 gradi di fine giugno, con lavoratori appesi ai protocolli come fazzoletti sudati, ai temporali tropicali di inizio luglio, con grandinate grosse come albicocche e torrenti che diventano Mississippi in piena. Tutto in 48 ore, come nei film catastrofici di serie B, ma senza effetti speciali: solo case sommerse e strade-scivolo.

E non ci si può più lamentare nemmeno in pace: mentre l’operaio sviene sull’asfalto, il contadino si ritrova la vigna sott’acqua. La meteorologia sembra scritta da un autore di thriller con sbalzi d’umore. I bollettini si leggono come l’oroscopo: magari oggi ci salva il karma.

Eppure, mentre la natura ci sbatte in faccia l’evidenza, c’è ancora chi sostiene che va tutto bene. Che il riscaldamento globale non esiste, che è colpa del sole, di nonna Papera o che nel 1883 faceva ancora più caldo. Le temperature salgono, le falde scendono, ma loro restano fermi. Il clima è sempre stato ballerino, dicono. E continuano a ballare, mentre l’acqua supera le ginocchia.

Il negazionista climatico è un tipo affascinante: si scioglie in veranda ma resiste, affoga in cantina ma nega. Davanti ai grafici scrolla le spalle, ma se piove a Ferragosto grida al complotto dei cinesi. Non suda, traspira coerenza. Vive in un eterno novembre mentale, convinto che tutto tornerà come prima. Ma nel dubbio, meglio tenere a portata di mano il salvagente. E pure il casco.