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L’onda di cambiamento che ha travolto il settembre italiano ha tutte le caratteristiche del movimento: si è articolato con una mobilitazione permanente che va oltre le reti organizzate, le associazioni storicamente sul tema. In tutta Italia con declinazioni e composizioni differenti, a latitudine differenti, in Comuni anche molto piccoli.
Un movimento interclassista che si è articolato da Nord a Sud nel corso di questi due anni anche senza che la presenza di università, scuole o comunità di migranti siano stati elementi determinanti nella riuscita delle mobilitazioni. Direi: tutti ingredienti importanti e fondamentali – specie nelle grandi città - ma non determinanti se guardiamo lo scheletro nazionale del movimento nel suo complesso.
Un’onda di cambiamento che invece ha una composizione molto eterogenea e che l’oceanica manifestazione di sabato mi ha aiutato a mettere a fuoco per bene: una piazza arcobaleno molto simile – e tanti che erano in piazza sabato l’hanno fatto notare - alle mobilitazioni contro la guerra in Afghanistan del 2021.
Il cuore sono i protagonisti del movimento pacifista laico e cattolico in mobilitazione permanente sempre, soprattutto dall’inizio della guerra in Ucraina, e che saranno ancora loro a guidare l’appuntamento straordinario della marcia Perugia Assisi di domenica prossima. E poi gli studenti – tantissimi – delle scuole medie/superiori e della università che da classico soggetto sociale di movimento “stanno in piazza” da protagonisti, ma che si muovono con maggiore libertà organizzativa – almeno fino a questo momento – rispetto al passato.
E, ancora, tutto quello che di sociale in questo Paese è giustamente già orientato contro il governo Meloni: e anche di associativo, politico e sindacale. Ma soprattutto: una marea di famiglie, spesso famiglie giovani, al gran completo. Gente in gran parte già conosciuta: una generazione e mezza (forse due) che ha calcato le piazze oceaniche dei primi anni 2000 a cavallo del G8, dei movimenti studenteschi del 2008 e 2010, degli indignados del 2011.
Sembra quasi che Gaza sia stato il paradigma di indignazione con cui è stato fatto saltare il tappo della partecipazione attiva: come dire “la misura è molto più che colma, è tornato il tempo dell’azione”. E che la Flotilla abbia avuto questa coscienza tutta sentimentale, sia stato per tanti un treno marittimo “lanciato contro l’ingiustizia” per provare a salvare il concetto stesso di umanità: gente comune dal basso che fa qualcosa di straordinario, qualcosa che nessun “grande” aveva avuto ancora il coraggio di fare. Un Davide collettivo contro un Golia dei pochi, ma tutti potenti.
Come ogni movimento siamo variegati: ma la stragrande maggioranza delle persone è arrabbiata e molto consapevole. Persone, dalle piazze di provincia a quella di Roma, che hanno ben chiara l’idea che la partita non si ferma al destino dell’equipaggio della Flotilla o del cessate il fuoco a Gaza: sono ovvie precondizioni per cui la battaglia non è finita.
Ma è un cambiamento profondo quello che si chiede nelle piazze: si vuole rimettere in discussione il sistema. Non nei modi arrabbiati ma super pacifici, ma nelle risposte che ci si aspetta alla propria indignazione: dire “la misura è colma” è una risposta prima di tutto alle proprie condizioni materiali, da quel che non funziona e che non corrisponde alla litania del “va tutto bene” del Governo Meloni.
L’innesco è il genocidio palestinese e la prepotenza di chi pensa che può esistere un mondo di impuniti e di governi che non rispondono ai popoli. Ma la partita è un’altra e più profonda: qualcuno in piazza è già consapevole di questo, qualcuno deve ancora metterlo a fuoco. Ora serve una guida, un veicolo che si metta a disposizione per trasformare questa indignazione in leva di cambiamento vero: intrecciare le vertenze, e spostare la discussione sulla democratizzazione della società.
“Gaza e il suo destino sarà fondamentale per i popoli del mondo intero” ha detto a settembre a Mantova lo storico Ilan Pappé. Il primo banco di prova sarà la finanziaria: come le richieste di pace, diritti e disarmo dell’onda di cambiamento riusciranno a star dentro nella discussione della prossima finanziaria? Bombe o asili, scuole e università? Missili o ospedali e sanità pubblica? Blindati o stabilizzazione dei precari pubblici e rinnovi dei contratti nazionali per recuperare tutta l’inflazione?
Caccia o pensioni? Servizi, diritti e welfare o riarmo ed economia di guerra: la partita è aperta, l’appuntamento è prima per la Perugia Assisi e poi in piazza di nuovo a Roma per la grande manifestazione del 25 ottobre “Democrazia al lavoro”. Arriva l’onda: cambiamo davvero.
Michele Orezzi Segretario generale Cgil Mantova