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Dal 2 agosto 1991 a settembre 2025 sonon stati sciolti per mafia 402 enti locali. Questi i numeri nudi e crudi presentati da Avviso pubblico, in un dossier redatto da Claudio Forleo, responsabile dell’Osservatorio parlamentare dell’associazione degli enti locali e delle regioni contro mafie e corruzione.
Cattiva amministrazione, principi costituzionali
Un volume corposo che non elenca solo numeri ma studia il fenomeno, cerca soluzioni. “La corruzione e la mafia, pur nettamente distinte sotto il profilo penalistico, sono tuttavia accomunate dal fatto di trarre entrambe alimento da pratiche di maladministration, intesa come cattiva gestione amministrativa e0, quindi sviamento dell’interesse pubblico e utilizzo distorto delle risorse della collettività”. Questo l’incipit della prefazione affidata a Giuseppe Busia, presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) che aggiunge: “Pertanto, il successo di qualsiasi strategia antimafia dipende necessariamente dal serio impegno a ridurre le situazioni di cattiva amministrazione, attraverso la valorizzazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità”.
I numeri del fenomeno
Negli ultimi 34 anni in Italia, quelli di vigenza della legge sullo scioglimento, è stato in media sciolto per mafia un comune al mese. Dal 2 agosto 1991 al 30 settembre 2025 sono stati sciolti 402 enti locali. Le regioni coinvolte sono 11 ma ben l’89% (360) si è verificato in Calabria, Campania e Sicilia. Percentuale che sale al 96% (386) se si aggiunge anche la Puglia.
Soprattutto piccoli
Ciò che colpisce leggendo il Dossier è la dimensione dei comuni sciolti per infiltrazione della criminalità organizzata: sono piccoli a volte piccolissimi. Risulta infatti che il 72% dei comuni sciolti dal 1991 aveva una popolazione residente inferiore ai 20mila abitanti, il 51% inferiore ai 10mila abitanti e il 34% inferiore ai 5mila abitanti.
Una presenza strisciante
A dirsi preoccupato è il presidente di Avviso pubblico, Roberto Montà. È allarmato perché i dati presentati attestano che le mafie non hanno affatto allentato la presa e che han bisogno di condizionare la politica e l’amministrazione per fare affari. Presentando i dati lo scorso 2 dicembre Montà ha, infatti affermato: “Il dossier rivela il persistere dell’esistenza di complicità e connivenze tra mondo criminale, politico e amministrativo, e dimostra in concreto il costante tentativo delle mafie di ritagliarsi un posto in prima fila nella corsa agli appalti e alla gestione dei servizi pubblici”.
Un problema da affrontare
Uno scoglio da superare è l’aggiornamento della normativa, che a detta di diversi interlocutori intervenuti alla presentazione del Dossier “va cambiata, non cancellata”. Ha affermato ancora Montà: “Riteniamo che la riforma della normativa sugli scioglimenti dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose non sia più procrastinabile. Anche alla luce di quanto sta emergendo negli ultimi anni e che osserviamo con preoccupazione: la difficoltà di trovare candidati che si mettano in lista per svolgere un servizio politico a favore della propria comunità insieme al crescente astensionismo elettorale. Milioni di cittadine e di cittadini rinunciano, per vari motivi, ad esercitare il diritto/dovere di voto sancito dall’art. 48 della Costituzione”.
Non è solo questione di legalità
Sconfiggere le mafie è necessario per ripristinare legalità. È, però, anche una questione economica, perché dietro le infiltrazioni degli enti locali vi sono questioni economiche legate agli appalti pubblici. È, ancora, questione di democrazia, perché i territori e i comuni con grande presenza di criminalità organizzata, non sono liberi. Ma è anche questione sociale e il “caso Caivano” è lì a dimostrarlo.
Caivano e il doppio scioglimento
Tra i focus particolari del Dossier c’è il comune campano che è stato sciolto due volte, nel 2018 e nel 2023, l’ultimo “è maturato – si legge - in un contesto di forte crisi istituzionale, seguito da gravi fatti di cronaca e da una mobilitazione politica e sociale che ha portato alla nomina di commissari straordinari con funzioni di gestione sul territorio”.
Ma ciò che più colpisce sono le ragioni di contesto che hanno portato prima all’infiltrazione e di conseguenza allo scioglimento: “Caivano presenta condizioni di forte vulnerabilità sociale ed economica. A Parco verde si concentrano disoccupazione, precarietà e povertà educativa, con un impatto particolarmente rilevante su minori e adolescenti, che rappresentano una quota significativa della popolazione”. Se è così, allora il Decreto Caivano che criminalizza povertà ed emarginazione minorile non è la soluzione.
Insomma, per contrastare la mafia occorre - oltre che attuare strategie di repressione - sostenere la buona amministrazione, e far crescere la partecipazione democratica di cittadine e cittadini.

























